Nord Corea: Putin soffia sul fuoco, Cina decisiva

IL COMMENTO. Accoglienze d’altri tempi, scenografie degne di «padri della Patria» e non solo «presidenti». Ma a Pyongyang le visite di Stato di leader stranieri sono talmente rare che diversamente non si sarebbe potuto fare per festeggiare la firma con la Russia del partenariato bilaterale e del patto di protezione contro le aggressioni.

La Corea del Nord ha così l’occasione di rompere il suo decennale isolamento e di avere dalla sua un partner capace di aiutarla ad alleviare finalmente atavici problemi interni. Su tutto carenza di scorte alimentari, deficit in campo energetico e ritardo tecnologico. E, perché no, di sostenerla nel richiedere l’ammorbidimento di passate sanzioni definite dalle Nazioni Unite. Mosca trova, invece, in Pyongyang una sponda - seguendo le indicazioni ufficiali - nella sua lotta contro «l’imperialismo Usa» e contro «le politiche egemoniche» americane e «dei suoi satelliti». Putin ha in Kim Jong-Un un leader che comprende la politica del Cremlino in Ucraina.

Se ci si allontana dalle interpretazioni ufficiali è, però, evidente che c’è dell’altro tra nord-coreani e russi. Perlomeno questo pensano statunitensi e sud-coreani in primis, con i cinesi che osservano preoccupati gli eventi. Le intelligence di Washington e di Seul hanno affermato che sono già migliaia, se non decine di migliaia, i container pieni di munizioni nord-coreane fornite ai russi. Pyongyang e Mosca hanno rigettato questa accusa. Da tempo è stato denunciato da più parti che russi e ucraini hanno svuotato in giro per il mondo gli arsenali pieni di armi sovietiche o ex sovietiche o leggermente modificate. Le loro Forze armate, del resto, hanno in dotazione armamenti simili risalenti al tempo dell’Urss.

Con le industrie interne non in grado di produrre tutto il necessario per lo sforzo bellico, la corsa al rifornimento all’estero soprattutto delle preziose munizioni per l’artiglieria di calibro 155 è diventata vitale per le operazioni militari in corso. Altrimenti gli americani non si spiegherebbero perché, dopo 24 anni, Putin, che è poi volato in Vietnam, si sia scomodato ad andare in Corea del Nord, Paese poco attrattivo per la Russia dal punto di vista economico.

A Seul e a Pechino già suona l’allarme nelle rispettive «sale dei bottoni». I sud coreani hanno invitato il Cremlino a non superare «certi limiti», temendo che Mosca possa fornire a Pyongyang armi moderne. Kim sarebbe interessato alla tecnologia dei satelliti spia, il lancio di uno dei quali è appena fallito. Pechino ha altresì paura che la visita di Putin aumenti le preoccupazioni degli alleati Usa nell’area del Pacifico ed, alla fine, l’ulteriore tensione prodotta finirà per avere ricadute anti cinesi. L’ex Impero celeste rischia, in sostanza, di venire coinvolto nell’aggravamento dello scontro internazionale, non voluto - a parole - da Pechino, che si profila all’orizzonte.

Non lasciano intravvedere nulla di buono nemmeno le dichiarazioni sia del segretario uscente della Nato Jens Stoltenberg sia del segretario di Stato Usa Antony Blinken in cui si invitano i cinesi a non alimentare «la macchina da guerra di Putin» e a prenderne le distanze. In sintesi, questa visita dal sapore antico allontana la pace in Ucraina ancor di più e, anzi, fa paventare il pericolo di allargamento dei teatri di scontro.

Se la Cina, che non ha alcun interesse allo scoppio di una nuova Guerra fredda, vuole evitare davvero certi scenari adesso ha l’occasione per farlo. Continuare a tergiversare sperando che «il cadavere del nemico passi sul fiume» potrebbe non essere la tattica giusta al tempo della globalizzazione.

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