L'Editoriale / Bergamo Città
Giovedì 24 Dicembre 2020
Non studia né lavora il 20% dei giovani italiani. C’è bisogno di reinventarsi
Per risolvere il problema dei Neet (acronimo di Not education, employment or training, i giovani dai 15 ai 24 anni che né studiano né lavorano), ci torna utile un film girato da Vittorio De Sica e sceneggiato da Cesare Zavattini. Ma prima cerchiamo di capire più a fondo chi sono i Neet e quanti sono. Secondo l’ultimo rapporto della Commissione europea in Italia ce ne sono oltre due milioni, circa il 20,7% del totale dei giovani. Una percentuale incredibile, per giunta aumentata nell’ultimo trimestre, che è addirittura il doppio di quella europea (11,7). Un esercito immobile che pesa come un macigno sull’economia italiana. Da chi è composto questo esercito? Qualche tempo fa l’Istat ha cercato di dare una risposta.
Più della metà è costituito da donne che vivono al Sud (come Napoli, Catania, Brindisi e Palermo), hanno un livello di istruzione molto basso (licenza media o in rari casi diploma superiore) e hanno rinunciato a cercare un impiego. La cosa strana è che una percentuale di inattivi superiore alla media nazionale la fa registrare il Trentino Alto Adige, che è all’avanguardia nei contratti formazione-lavoro. Il problema è dunque strutturale, non solo del Mezzogiorno.
In realtà quest’universo è molto variegato e comprende persino laureati e diplomati che non riescono a trovare un posto. Quanto alle cause, sicuramente la prima è il contesto sociale ed economico in cui viviamo. Non funziona la catena formazione-lavoro, non funzionano i contratti a tempo determinato che finiscono per scoraggiare, vi è una generale assenza di alternative, certo il reddito di cittadinanza spesso costituisce un’alternativa a un mestiere che rende poco più del sussidio, la famiglia da ormai 20 anni è un ammortizzatore sociale contro la disoccupazione giovanile e le politiche dei governi hanno fatto pochissimo per disincentivare questa tendenza, anzi, per certi aspetti l’hanno incentivata. Pesa anche la crisi economica, perché come è noto il lavoro non lo si crea nei centri per l’impiego ma nelle aziende che aumentano i loro fatturati.
Ma forse anche gli stessi Neet dovrebbero cambiare il loro atteggiamento. E qui torniamo al film di cui parlavamo all’inizio, che è «Miracolo a Milano», del 1951, in pieno boom economico. Il protagonista è un orfano dei Martinitt che si aggira per le strade della città con un senso di ottimismo e di meraviglia perenne e che saluta tutti. L’esempio non è di chi scrive ma di Giuseppe De Rita, il fondatore del Censis, che lo cita spessissimo. L’allegoria è chiarissima, le doti del Martinitt, che non ha nulla da perdere e tutto da guadagnare, sono emblematiche: non si chiude in sé stesso ma gira per le strade della città, ha sete di conoscenza, di amore, di voglia di fare, con uno sguardo stupito che diventa energia positiva. Se mista alla proverbiale inquietudine dei giovani, può trasformarsi in energia positiva, tornare a studiare per migliorarsi ed adeguarsi alle esigenze delle imprese, accontentarsi di lavori semplici pur di non stare a casa, reinventarsi, mettere in gioco le proprie capacità imprenditoriale e fondare una start up. Così da poter salire su una scopa, come nella celeberrima scena finale del film, e volare alto sul cielo di Milano.
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