L'Editoriale
Lunedì 27 Febbraio 2023
Non si può morire di speranza in mare
La tragedia umanitaria. Gli immigrati non li fermi. Gli immigrati li puoi solo salvare. Le migrazioni non le blocchi, le migrazioni le puoi solo gestire. Davanti al naufragio del caicco di legno marcio sulla costa calabrese non si può indugiare sulla soglia della riprovazione e l’indignazione verso i trafficanti di uomini.
Troppo semplice e assolutorio. Va per prima cosa avviata una riflessione più profonda e sincera di tutte quelle fatte finora sulla questione delle migrazioni, alle quali non ci si può opporre, essendo un fenomeno di vaste proporzione e di altrettanto sterminate motivazioni. Chi siamo noi per opporci a chi cerca speranza? Chi siamo noi per decidere che l’esigenza di futuro di donne, uomini e bambini, in fuga dall’ingiustizia globale che impone a qualcuno piatti vuoti e ad altri stracolmi, ad alcuni assicura diritti e ad altri l’umiliazione di non poter garantire una vita ai propri bambini, sia un reato o al più un progetto clandestino? Sulla spiaggia di Crotone donne, uomini e tanti bambini sono morti di speranza. Ma non si può morire di speranza.
Ecco perché quella di ieri non è stata una tragedia, ma una strage che ha precisi responsabili nei governi dell’Unione Europea, tutti i governi del passato e del presente, che hanno prodotto politiche di chiusure delle frontiere, che hanno investito montagne di denaro per tenere lontani i migranti, blindando confini escogitando i più perversi cavilli giuridici, e infine cercando di allontanare da sé ogni scelta politica sulla quale agire per salvare vite umane. Le lacrime che si stanno versando, le parole a fiumi di cordoglio, la filiera delle ennesime promesse e degli appelli lanciati qui e là ad istituzioni che sembrano fantasmi e non invece espressioni di persone e di scelte precise, sono vane e ipocrite.
Tutte le politiche recenti in materia di immigrazione si sono rivelate fallimentari e inutili. La strage di ieri è responsabilità di chi, ad ogni livello, agevola l’ingiustizia globale e vive nell’indifferenza. C’è una cospicua parte del mondo che non ha cibo, non ha soldi, è sfruttata, non ha la libertà di dissentire schiacciata sotto una gigantesca e insopportabile compressione dei propri diritti, gente per noi invisibile, che non esiste. Li chiamiamo profughi, ma sono semplicemente poveri. Siamo arrivati a definirli «scarti residuali». Vengono da Paesi da noi lasciati senza pace o meglio ai quali abbiamo imposto la nostra pace senza giustizia.
L’elenco è lungo e alla fine incomodo, perché imbarazza. Possiamo incominciare dalla A di Afghanistan e continuare il giro del mondo di Stati ai quali abbiamo permesso di erodere diritti e imposto politiche di rapina. Gli immigrati vengono da qui, ma noi invece di proteggerli, superstiti di Paesi senza libertà, democrazia, pace e cibo, persone da accogliere con onore e da stimare essendosi caricati della nostra cattiva coscienza, li abbandoniamo in acque gelide di morte o al più li affidiamo a governi senza moralità e a trafficanti ripugnanti. Il caicco era salpato da Izmir, costa della Turchia, Paese governato da un signore che abbiamo letteralmente ricoperto di soldi, perché si tenesse i migranti e controllasse l’ultimo miglio. Si chiama «esternalizzazione» delle frontiere, politica aberrante che ieri abbiamo visto non funziona. Così come non serve regalare motovedette al sedicente governo libico, che certo non contrasta chi gestisce lager e partenze, business da miliardi di dollari, ancor meglio della cocaina.
Nessun confine può essere chiuso. Ripeterlo e invocarlo è una menzogna. L’unica via è quella della gestione sicura delle migrazioni con corridoi sicuri, non lasciati alla buona volontà di qualche associazione cattolica, primo passo, necessario per fermare la strage dei morti di speranza, e poi visti di lavoro, welfare, criteri più ampi per il ricongiungimento familiare, insomma ingressi legali stabili e proporzionati in tutti i Paesi più ricchi. Ma intanto vanno ripristinate e non più ostacolate le operazioni di soccorso, pubbliche e private, va rimessa in mare una forza europea per evitare i naufragi, con catene di comando corte ed efficienti. Costa? Certo, ma non possiamo pretendere di liquidare gratuitamente la nostra indifferente noncuranza per l’ingiustizia globale.
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