Non sedersi sugli allori
di un solo trimestre

La ripresa dell’economia italiana c’è e si rafforza. I dati sull’andamento del Prodotto interno lordo (Pil) resi noti ieri dall’Istat confermano che imprenditori, partite Iva, lavoratori, dipendenti privati e pubblici, consumatori, stanno rimettendo in moto il Paese dopo lo stop imposto dalla prima fase più acuta della pandemia e dalle misure di distanziamento sociale che ne sono seguite. Il Governo Draghi non ha ostacolato simili sforzi, anzi li ha assecondati, grazie fra l’altro al dispiegamento di un’efficace campagna vaccinale e a una rafforzata credibilità sui mercati internazionali. Il Pil nel secondo trimestre del 2021 è cresciuto così di un notevole 2,7% rispetto ai tre mesi precedenti e di un notevolissimo 17,3% rispetto al secondo trimestre dello scorso anno. Nei tre mesi che vanno da marzo a giugno, il nostro Paese ha corso più della media dell’Eurozona che ha segnato una crescita congiunturale del 2% e una crescita tendenziale del 13,6%.

Non solo. Secondo l’Ocse, dopo il Regno Unito, il nostro è il secondo Paese che è cresciuto di più fra quelli del G7. Né saremmo di fronte a un fuoco di paglia, destinato a spegnersi presto. Infatti la crescita acquisita, vale a dire quella che si otterrebbe a fine anno in presenza di una variazione congiunturale nulla nei sei mesi che mancano, è già pari al 4,7%. E il settimanale inglese The Economist prevede alla fine del 2021 un tasso di crescita del Pil pari al 6%, meglio delle previsioni di Governo e Banca d’Italia.

Nonostante tutte queste considerazioni di segno positivo, è bene non farsi trasportare da un eccesso di ottimismo che potrebbe sconfinare nell’autocompiacimento e quindi in scelte controproducenti. Innanzitutto perché, assumendo una prospettiva di medio-lungo termine, appare evidente che almeno negli ultimi venti anni la crescita italiana ha arrancato rispetto a quella dei Paesi sviluppati. Nel 2019, alla vigilia della pandemia, il Pil pro capite medio dell’Unione europea era 28.600 euro l’anno, quello italiano 26.900, dietro a Germania, Francia e Regno Unito. D’altra parte un aumento tendenziale del Pil del 17,3% è in larga parte un «rimbalzo» statistico rispetto ai mesi più bui del 2020, caratterizzati da un lockdown generalizzato. In termini assoluti, il Pil nel secondo trimestre 2021 ha superato di poco i 414 miliardi di euro, meglio dello stesso trimestre del 2020 (353 miliardi), ma ancora sotto il livello del secondo trimestre del 2019 (431,5 miliardi di euro).

Ci sono inoltre alcune possibili valutazioni «qualitative» da fare sulla base dei dati forniti dall’Istat. Dal lato della domanda, il sostegno alla crescita è arrivato innanzitutto dalla componente interna dei consumi, il cui contributo è stato di +2,6 punti percentuali. Anche gli investimenti hanno fornito il loro apporto, ma decisamente più contenuto, pari a +0,5%, seguiti dalla domanda estera (+0,3%), negativo invece il contributo delle scorte (-0,8%). Le riaperture post-lockdown, dunque, sono le principali indiziate per questa fiammata di ripresa, e ovviamente esse hanno un effetto una tantum.

«Altro dato interessante – ha sottolineato l’analista Mario Seminerio sul blog Phastidio.net – è quello relativo alle ore lavorate. Nel secondo trimestre, l’incremento è del 3,9% per l’intera economia. Poiché tale variazione eccede quella del Pil reale ne consegue che, nel breve spazio di tre mesi, non si registra un rimbalzo di produttività, semmai l’opposto». Invece di crogiolarsi, sarà dunque meglio adoperarsi per rendere stabile e duratura la ripresa, rimanendo vigili sugli scenari economici internazionali più allarmanti (inflazione e carenza di materie prime), e insistendo sul fronte domestico delle riforme.

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