
( foto ansa)
ITALIA. Scenari di crisi sempre più intricati e pericolosi, dall’apparente disimpegno americano dal nostro continente al concreto avanzare dell’offensiva militare e ibrida russa, sembrano aver finalmente spinto l’Unione europea a compiere un’accelerazione rispetto all’ipotesi di una difesa comune.
L’esito di un simile scatto non è affatto scontato, eppure è bastato che esso si materializzasse per causare contraccolpi evidenti nel nostro dibattito pubblico. Al di là delle divisioni create all’interno di coalizioni e partiti su dossier specifici, di cui non si può sminuire l’effetto destabilizzante nel breve termine, ad allarmare è un metodo che sembra diffuso nella classe dirigente italiana quando si discute di difesa. La rincorsa di un’eccessiva semplificazione e l’amplificazione strumentale di percezioni errate che sono diffuse nell’opinione pubblica sono pratiche che forse possono premiare in termini di consensi nell’immediato ma che compromettono il perseguimento dell’interesse nazionale nel lungo termine.
Innanzitutto, chiunque in Italia evochi la necessità di maggiori stanziamenti di risorse per la difesa è accusato di voler imporre una scelta tra burro e cannoni. Secondo questa obiezione, un euro in più agli armamenti equivale a un euro in meno per le pensioni e per gli ospedali. Come se - per prima cosa - investire in difesa fosse sinonimo di mero acquisto di armi da fuoco; come se - secondo - le attuali uscite dello Stato fossero tutte dedicate a funzioni vitali del nostro welfare; come se - infine - non fossero possibili riallocazioni ed efficientamenti in una spesa pubblica monstre che supera ormai i 1.100 miliardi di euro l’anno. Il trade-off tra burro e cannoni, nell’odierna situazione del nostro Paese, è buono al massimo come slogan acchiappa voti, tuttavia ha fatto bene il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti a chiarire in Parlamento che «per il governo italiano il finanziamento della difesa non potrà avvenire a scapito di settori fondamentali per i cittadini, quali ad esempio la sanità e i servizi pubblici».
Il chiarimento di Giorgetti: «Per il governo italiano il finanziamento della difesa non potrà avvenire a scapito di settori fondamentali per i cittadini, quali ad esempio la sanità e i servizi pubblici»
Sgombrato il tavolo da un trucchetto retorico di sapore un po’ populistico, è indubbio però che tanti nostri concittadini, come d’altronde la maggioranza degli europei occidentali, abbia una percezione storica peculiare del ruolo della difesa. Per quanto suonino sgraditi certi toni del presidente americano Donald Trump quando chiede all’Europa di accrescere il suo contributo finanziario alla Nato, onestà vorrebbe che ricordassimo come siano rimasti inascoltati anche gli inviti dello stesso tipo arrivati da Washington fin dai tempi del presidente Barack Obama che pure aveva una voce più flautata. Abituati da almeno ottant’anni all’ombrello di sicurezza a stelle e strisce, ci siamo accorti in ritardo che quell’ombrello minaccia di chiudersi e che nel frattempo la pioggia lì fuori si è intensificata, visto che per esempio dal 2014 la Russia ha cominciato a spingere - anche manu militari - sui confini europei.
In tema di spese per la difesa, esiste un altro problema di percezione dettato probabilmente dalla peculiare situazione demografica che stiamo vivendo. Una popolazione in media più avanti negli anni ricorre in maniera più massiccia ai servizi del welfare state, dalla sanità alla previdenza pubblica, e sul futuro di tali servizi cerca rassicurazioni dalla politica. Non a caso, da qualche anno a questa parte, ospedali e pensioni sono le priorità che tendono a monopolizzare il confronto mediatico, magari a scapito di materie altrettanto vitali per una società come l’assistenza alle giovani coppie e la carenza di alloggi a prezzi abbordabili, l’imprenditorialità e il lavoro. Al punto che alcuni politologi parlano apertamente ormai di carattere «gerontocratico» delle nostre democrazie contemporanee. Figurarsi come verrà accolta la (falsa) alternativa tra burro e cannoni, di cui sopra, in una società come la nostra dove quasi il 25% dei residenti ha più di 65 anni, il doppio dei ragazzi under 15.
Eppure, come emerso da ultimo dalla Relazione del Copasir sulla situazione geopolitica del continente africano, proprio gli squilibri demografici che caratterizzano il nostro Paese e l’area circostante pongono sfide di natura strategica che non possono essere affrontate soltanto a suon di erogazioni del welfare state. Sicurezza nazionale e sicurezza sociale, giustamente, hanno entrambe valore ai nostri occhi. Senza la prima, però, non è nemmeno concepibile la seconda.
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