Nodi economici
Miccia della crisi

Mi sto chiedendo se nel profondo di questa crisi non abbiano agito come detonatore o come una sorta di subconscio, le questioni economiche che pesano sul nostro Paese. Di queste questioni i vari soggetti in campo ne parlano poco perché l’evocarle obbligherebbe a dire come si vogliono affrontare le questioni del debito pubblico, dell’occupazione, della crisi demografica, e delle politiche industriali e dell’ambiente, con una particolare attenzione al riscaldamento globale.

Sono pochi oggi alla vigilia delle elezioni disponibili a dire parole chiare su questi temi. In questi giorni , ho maturato la convinzione che i problemi economici abbiano funzionato da starter e spinto Matteo Salvini ad aprire - smentendo tutte sue precedenti e rassicuranti dichiarazioni- ad aprire la crisi. Tutto sembrava che per la Lega procedesse a gonfie vele e che non passasse giorno senza che Salvini incassasse qualche cosa: il decreto sicurezza, la Tav e la copertura verso una serie di azioni anti-immigrazione e su altre questioni. Sicuramente le questioni legate all’economia hanno giocato una parte significativa. Da un punto puramente politico la decisione di mettere fine al governo non si spiega, dopo tutto Salvini stava mietendo successi e il no sull’autonomia non aveva caratteristiche dirompenti.

Mentre sono convinto che il susseguirsi di dati economici negativi segnalati nella loro realtà con la certificazione da parte dell’Istat della nostra crescita zero, il rallentamento dell’economia tedesca, le notizie che arrivano dagli Stati Uniti di una prossima recessione globale e il negativo andamento dell’economia britannica, devono avere fatto scattare una sorta di segnale di pericolo. Attendere che questi segnali incidessero nella realtà e si concretizzassero nelle condizioni di vita delle persone era da evitare poiché poteva contrarre quello che i diversi sondaggi davano come propensione positiva. Salvini non poteva attendere, come sarebbe stato politicamente logico, che la situazione economica si raddrizzasse per poi andare alle elezioni, questa attesa lo avrebbe obbligato ad assumere decisioni che potevano erodere il suo capitale di consenso.

Da qui, a mio modesto parere, la decisione di agire subito e scommettere su una crisi politica che portasse al voto in autunno. Oggi lo scenario appare molto più aperto e lo è anche per la Lega, anche se uscisse un governo a tempo o di scopo che si facesse carico della legge di bilancio, fosse obbligato ad affrontare la fase recessiva che si profila all’orizzonte e affrontasse con l’Europa le questioni di come rispettare i parametri di bilancio, la Lega si potrebbe ritagliare una posizione defilata e critica , lasciando al movimento 5 Stelle e al Pd la responsabilità delle scelte. È una scommessa che si potrebbe non vincere. Sicuramente la responsabilità di gestire questa fase metterebbe il Pd e il Movimento 5 Stelle in una posizione estremamente difficile.

La crisi ci colloca in una situazione estremamente inedita in cui i vecchi paradigmi della politica e molti di quelli che ritenevamo nuovi sembrano non servire più. Stiamo entrando, a spintoni, in una fase della politica italiana che richiede di agire con molto discernimento, prudenza e con criteri di eticità e, soprattutto, collocarci fuori da ogni condizionamento ideologico. È in situazioni di questo genere in cui le certezze cui eravamo abituati sembrano franare che gli attori della politica devono inventarsi una nuova capacità di interpretazione della situazione, dei sentimenti e dei desideri delle persone e generare un nuovo e fecondo collegamento agli interessi del Paese e delle persone.

Questa è una situazione in cui i richiami al popolo non servono più, in quanto questa è una entità che si è frantumata e che va ricostruita, ma che invita a responsabilità i singoli cittadini che devono predisporsi al voto liberi dalle fantasmagorie, dalle promesse irrealizzabili, dalle rancorosità, dalle invidie e dalle discriminazioni che hanno inquinato l’ultima fase del dibattito politico.

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