No-vax, senza pensiero critico non c’è
democrazia

Nella grande contesa che oppone i pro e i contro al vaccino, al lockdown, al Green pass, in una parola alla politica da seguire per affrontare la sfida dell’epidemia, ormai si è dato fondo a tutto l’armamentario argomentativo possibile. Col tempo, le posizioni si sono poi vieppiù radicalizzate. Il fronte dei no vax, al grido «libertà», libertà, si è incattivito sfidando il governo in piazza con ripetute manifestazioni nel corso delle quali si è reso responsabile di gravi gesti di intolleranza e, in qualche caso, anche di aperta violenza. Non ultima ragione, questa, che ha indotto l’esecutivo a varare il cosiddetto Super Green pass, una forma di lockdown per i nemici irremovibili del vaccino e una tacita sollecitazione agli indecisi a superare le loro perplessità. Era per certi versi inevitabile che si arrivasse a uno scontro aperto. Non divide i due fronti una questione politica qualsiasi, ma una sfida al cui centro sta una ragione di vita o di morte.

In tutte le questioni politiche, ma massimamente in quelle che vertono sul comportamento da adottare nei confronti della vita, non esiste una scienza che ci indichi inequivocabilmente la via da seguire. Tocca all’uomo scegliere il da farsi in base ai valori, alle convinzioni, anche ai pregiudizi che professa e allora è scontro. Ovvio quindi che dalle opposte sponde ci si affanni a cercare gli argomenti più convincenti in difesa della propria causa. Argomenti, appunto: ossia rilievi empirici o considerazioni logiche che aiutino a smontare la tesi contraria. Sempre che ci sia la buona volontà all’ascolto. Non c’è infatti argomento valido per chi non vuol sentir ragione. Non stupisce perciò che sul fronte dei no vax si agiti la frangia dei duri e puri, sordi all’ascolto degli avversari.

Non stupisce lo scontro. Stupisce la natura delle argomentazioni offerte a sostegno delle tesi contrarie al vaccino. Non si offrono rilievi empirici, legati a dati di fatto. Nella narrazione degli irriducibili no vax, no Green pass, no a qualsiasi intervento di salvaguardia della salute pubblica domina al contrario la convinzione che la diffusione, qualcuno dice anche la creazione, del coronavirus sia opera intenzionale dell’uomo. Per qualcuno si tratterebbe di una congiura internazionale, per altri di un progetto tutto nazionale di dittatura. In ogni caso saremmo in presenza di manovre dirette ad assoggettare il popolo ai «poteri forti».

Un’affermazione di tale portata richiederebbe, ça va sans dire, il conforto almeno di qualche serio indizio, meglio di prove inoppugnabili. Il dato sorprendente, oseremmo dire allarmante, è che non solo non vengano offerti validi riscontri delle proprie affermazioni, ma che non ci si curi nemmeno di cercarli. Basta in genere il sospetto, il sentito dire, l’averlo letto su internet. L’idea complottista è troppo seducente per aver bisogno di una verifica.

Dicevamo che questo abbraccio acritico delle tesi cospirazioniste è allarmante. Tradisce infatti un sentimento, sempre più diffuso e tenace, di ostilità da parte di una fetta non marginale dell’opinione pubblica a quanto viene proposto da chi sta in alto. Non fa differenza che siano i politici, i Big Pharma, gli scienziati o la grande finanza mondiale. Per chi si sente prigioniero tutto ciò che il suo carceriere propone è da respingere. È la stessa frattura popolo/establishment che alimenta il populismo. Siamo all’interno della stessa contro-narrazione costruita sul rifiuto del potere e dello Stato che la impazza su internet: veri mostri, questi, che diffondono il virus per sterminare la popolazione o, al contrario (senza accorgersi della contraddizione) per lucrare coll’affare dei vaccini, o ancora per giustificare un’emergenza alla cui ombra instaurare una dittatura. La democrazia è figlia del pensiero critico. Con il pregiudizio perde le sue fondamenta.

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