No-vax in tv
Scienza umiliata

Diceva Umberto Eco. «Qualcuno ha detto che se ci fossero stati i social network ai tempi di Hitler, i campi di sterminio non sarebbero stati possibili, perché la notizia si sarebbe diffusa viralmente. Ma d’altro canto, i social network danno diritto di parola a legioni di imbecilli, i quali prima parlavano soltanto al bar, dopo tre bicchieri di rosso, e quindi non danneggiavano la società. Era gente che di solito veniva messa a tacere dai compagni. “Tas tì, stüpid” e che adesso invece ha lo stesso diritto di parola di un premio Nobel. E io credo che poco dopo si crei una sindrome di scetticismo, e la gente non crederà più a quello che dice il Nobel, ma a quello che dice Twitter».

Era il 2015, quando Umberto Eco pronunciò queste parole che perfettamente si adattano a questo periodo di pandemia. E, purtroppo, andrebbero allargate drammaticamente dai social, nel mirino all’epoca di Eco, ad altri mezzi di comunicazione, dove dal febbraio 2020 hanno trovato cittadinanza tutte le peggiori teorie negazioniste. Prima la natura pericolosa del virus: «È poco più che un’influenza». Poi le misure di restrizione: «Inutili, aprite tutto». Poi i vaccini: «Non funzionano». Poi il green pass: «Dittatura». Prossima puntata, e già assistiamo alle anteprime, la vaccinazione dei bambini: «Li volete sacrificare».

Virus, chiusure, vaccini, green pass: da due anni sentiamo di tutto, eppure ci sono sempre stati, cristallini, una ragione e un torto. Il virus non era un’influenza: 6 mila morti solo a Bergamo fra marzo e aprile 2020. Le chiusure non erano inutili, per lo meno non quelle più rigide: con i lockdown i contagi calano, per forza. Il vaccino funziona: 90% di ricoveri in meno rispetto a un anno fa, quando tutto era chiuso mentre ora sfidiamo il Covid tenendo, giustamente, tutto aperto. Chi ha in tasca il green pass fa colazione al bar, pranza fuori, va allo stadio, esce a cena e va al cinema. Libero, come in nessuna dittatura potrebbe essere.

I fatti sono questi, incontrovertibili, raccontati dai numeri. Basta studiare, basta la buonafede. I bergamaschi, i lombardi, gli italiani l’hanno capito. In grandissima parte, dicono i sondaggi, approverebbero pure l’obbligo vaccinale. Eppure, ogni giorno, a qualsiasi ora, in tv si assiste al dibattito «alla pari» previsto da Eco. Dibattiti in cui gli scienziati sono costretti all’umiliazione del contraddittorio con gli esperti del «no». I social hanno quasi mai intermediazione (e dove c’è, e qui parliamo per i social de L’Eco, l’argine è stato alzato come un Mose anti balle). Là dove però l’intermediazione c’è, e siamo alle tv, l’argine si inabissa. Si abdica pur di non rinunciare al dibattito, all’ascolto che ne segue, agli introiti pubblicitari conseguenti. Persino là dove i conduttori si dichiarano a favore dei vaccini, un no-vax non manca mai. Che sia un politico dell’1% che prova a grattare qualche voto che altrimenti mai avrebbe, che sia un – o una – giornalista in cerca di un rigurgito di visibilità, che sia una «mamma che combatte la battaglia per i bambini» (sentita giusto ieri): la voce del dubbio, mai supportato da dati veri, entra, incrina i fatti, «crea un danno», come disse Eco.

Il problema è che sarebbe ora di trattare i vaccini al pari di questioni non opinabili. Non si può essere pro o contro lo sbarco sulla Luna; pro o contro l’11 settembre; pro o contro l’allarme climatico. Chi lo fosse, certo non troverebbe una poltrona in prime time. I no vax, invece, sì: una minoranza che deborda a reti unificate, mandando di traverso dal caffèlatte al grappino prima di coricarsi. Come quell’esimio professore che giorni fa si è presentato in diretta assicurando che il 70% dei ricoverati in terapia intensiva è fatto di pazienti vaccinati, e ne era certissimo fino al momento in cui l’hanno sbugiardato: il dato vero era esattamente l’opposto (com’è ovvio). Compreso il filosofo brontolone che passa una vita a inveire contro chi non studia e ora spara teorie farlocche che, confessa beato, ha appreso «sul web». Compreso l’intellettuale che pur di strappare un titolo col suo nome nega le bare di Bergamo, insinuando l’inimmaginabile. Non è voglia di censura, questa: è vero esaurimento da blabla di sottofondo.

«Mi vanto - ha detto di recente Enrico Mentana a Bergamo - di non aver mai fatto un confronto tra uno scienziato e uno stregone». Ecco: stregoni e ciarlatane una volta in tv vendevano sale miracoloso, poi li hanno blindati. Oggi, con la vita di tutti sul ciglio del burrone, dibattono e contraddicono. E nessuno, o quasi, che mai reagisca. «Tas tì, stüpid».

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