L'Editoriale
Lunedì 15 Ottobre 2018
Nella ricca Baviera
vince ancora il disagio
La Baviera ha un Pil di quasi 600 miliardi di euro, la Lombardia per intenderci va verso i 400 miliardi. Nel Land di Siemens, Bmw, Audi la disoccupazione è a meno del 3%, di fatto non esiste. Eppure la gente è insoddisfatta. Lo dicono i risultati di queste elezioni regionali. La Csu in forte calo lascia sul campo più del 10% a vantaggio della destra di AfD, Alternativa per la Germania. I Verdi sono in crescita esponenziale e raccolgono i cocci di una frantumata Spd, persino la Linke, che nella cattolica e conservatrice Baviera sino a ieri era bandita, dà segni di vita con il 2,9%. Anche i rossi dell’ex Ddr possono alzare la testa. Il partito raccolta della Csu, orgoglio di un’identità, è diventato come gli altri. Se vorrà restare al governo dovrà fare coalizioni, come una qualsiasi Cdu della non amata Angela Merkel.
Eppure se la Baviera è diventata grande il merito è di Franz Josef Strauss e dei suoi successori. Quando negli anni Novanta il capo cristiano sociale del governo del Land Edmund Stoiber investiva in ricerca e innovazione e di fatto poneva le basi del miracolo bavarese, in Lombardia, cioè nella regione più avanzata d’Italia, tanto per fare un esempio, non si capiva dove andava il mondo, come la crisi del 2008 ebbe a mostrare.
I risultati di queste elezioni confermano un disagio che va oltre il dato economico. La più riuscita globalizzazione d’Europa e se vogliamo, Cina a parte, del mondo si rivela un successo sul piano industriale ma non segna il destino di un Paese che infatti si ribella. Piazzare automobili nel mondo, vendere turbine e sistemi elettronici è certamente più facile che spostare uomini. Una macchina non ha storia, ha solo un ciclo di utilizzo.
Ecco, l’uomo si oppone all’idea di poter essere utilizzato come un prodotto. Se lo chiedete agli elettori bavaresi può essere che molti di loro non si siano posti la domanda in modo consapevole ma è un fatto che il catalizzatore della crisi politica della Csu è stata l’immigrazione. Il timore di essere sopravanzati dall’ingresso non regolato di milioni di rifugiati ha scatenato un disagio latente che alberga nell’animo di elettori che, non va dimenticato, trova la sua base identitaria nell’agricoltura e nei costumi ad essa legati. Il vanto bavarese è di aver coniugato l’alta tecnologia con i calzoni di cuoio e il cappello a piume. Questo equilibrio è saltato quando la gestione del milione di richiedenti asilo siriani nel 2015 ha reso evidente che il grande problema è l’integrazione.
L’elettore imputa al governo e quindi alla Csu, che ne fa parte, di aver taciuto e minimizzato l’entità del fenomeno migratorio soprattutto nel suo impatto con la società civile. Il «ce la faremo» di Angela Merkel suona ancora oggi sarcastico. Guadagnano quindi i cosiddetti Liberi elettori (Freie waehler) a vocazione populistica con circa il 10% e AfD che sfiora l’11%. Tutti voti che vengono dall’area politica della Csu. Ma poiché siamo ben oltre il 21% di dissenso a carattere conservatore e nostalgico va detto che molti voti di protesta vengono dalle fila della Spd. I socialdemocratici perdono più della Csu e si avviano con il 9,5% dei voti verso l’irrilevanza politica. I veri vincitori sono i Verdi con quasi il 18%. Un balzo di più di 9 punti. Si premia l’identità partitica cioè la coerenza nella difesa dei valori ambientali, percepiti a rischio, e il fascino di una nuova giovane leader. Si chiama Katharina Schulze ed è il nuovo astro nascente della politica tedesca. Due grandi fattori trainanti della politica europea trovano conferma: la questione identitaria e la ricerca della guida carismatica. Certezze unite a uomini e donne che siano in grado di trasmetterle, questa la necessità politica. Nell’Europa di oggi un bisogno quasi esistenziale.
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