Nel fronte anti Meloni è tutti contro tutti

Il commento. Grande discussione tra le tante e litigiose anime del centro-sinistra sulla scoppola ricevuta alle elezioni regionali stravinte dalla destra e dal partito delle astensioni. Discussione doppia nel Pd impegnato a scegliersi il segretario del dopo-Letta. Discussione mesta nel Terzo Polo ridotto al lumicino nel Lazio e in Lombardia. Discussione rancorosa dei Cinque Stelle di Giuseppe Conte le cui ambizioni sono state mortificate.

Insomma il cosiddetto «campo largo» che piace tanto al guru comunista Goffredo Bettini è percorso da un gran vociare e dalle liti di tutti contro tutti. In sostanza: le opposizioni sono andate divise e sono state battute. Ma non basta: quandanche fossero state unite, comunque avrebbero perso. Se infatti si sommano i voti di grillini, Pd e «cespugli» del Lazio si supera di poco il quaranta per cento: e Rocca, il vincitore, ha doppiato quota cinquanta. Risultato: le alleanze del centrosinistra risultano improbabili se non impossibili ma soprattutto sono inutili. Che fare? Vediamo uno per uno i partiti in questione.

Il segretario (in lentissima uscita) del Pd Enrico Letta si consola perché il suo partito suppergiù ha mantenuto i voti delle politiche e si piazza al secondo posto dopo i Fratelli d’Italia. E poi perché a Conte non solo non è riuscito il sorpasso ma il suo partito è stato ridotto ai minimi termini: a Letta tanto basta per dire che poteva andare molto peggio, anche se deve ammettere che la gran parte delle persone che non è andata a votare un tempo stava per la sinistra e ora, sfiduciata, preferisce starsene a casa o farsi una gita. Ma anche Letta (insieme a Bonaccini, il probabile suo successore) sa benissimo che da solo quel 20% non serve a niente, né a riconquistare il potere né a fare l’opposizione: anche perché un partito che sta al governo da decenni è poco abituato a battersi in aula e ha perso ormai quasi del tutto le piazze. Resta il fatto è che senza quel 20% non si va da nessuna parte e dunque il Pd si prepara a fare la voce grossa con Calenda e con Conte. Ma per andare dove? Non si sa. Nell’incertezza, i piddini si allenano nel loro sport preferito: litigare tra loro. Adesso l’ultima baruffa è sul fatto che Letta e Bonaccini hanno detto che Giorgia Meloni è più «capace» che fascista. L’ex ministro Orlando e la candidata alla segreteria Eli Schlein se la sono presa molto a male: «Qualcosa non va» ripeteva ieri in Transatlantico l’ex Guardasigilli con il tono dei momenti gravi.

Numero due, Conte. L’avvocato professore del popolo aveva grandi mire: voleva essere il numero uno, rubacchiare i voti di un Pd in stato confusionale, condannarlo alla sconfitta negandogli l’alleanza nel Lazio e guidare così il «primo partito dell’opposizione»: sarà per un’altra volta. Alle prossime elezioni europee si voterà col proporzionale che consente di pesare con esattezza i voti di ogni partito. Vedremo. Il M5S contizzato non ha grandi dispute interne: tutti gli eletti di settembre ‘22 sono stati scelti dall’ex presidente del Consiglio; gli esclusi o gli sconfitti sono stati riarruolati, purché fedeli, come consulenti o impiegati del movimento.

Il Terzo Polo: se Renzi si è fatto di fumo sin da lunedì sera, Calenda l’ha presa malissimo. I voti raccolti sono stati talmente al di sotto delle ambizioni, l’operazione Moratti in Lombardia è andata talmente male, che Carlo è sbottato: «Si sono sbagliati gli elettori». Molti prevedono una prossima separazione tra i due fratelli-coltelli, i loro sodali naturalmente smentiscono e continuano a parlare di un grande partito (futuro) a doppia cifra.

Ha detto Bonaccini che, appena eletto «segretario-del-partito-senza-il-quale-non-si-va-da-nessuna-parte», chiamerà Conte e Calenda per concordare qualche mossa comune per dare filo da torcere a Meloni e ai suoi ministri. Vedremo se i convocati si presenteranno.

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