Nel fiume di parole
40 mila morti in mare

Un fiume di parole, un mare di morti. Lo scarto tra le infinite discussioni dell’Unione Europea e dei suoi Stati sugli immigrati e il numero di vittime nel Mediterraneo giustifica la sintesi spiccia dell’incipit. Mercoledì scorso l’Organizzazione mondiale per le migrazioni ha reso noto il numero delle vittime nel 2021 nel Mare Nostrum (o Mare Mostrum come è stato rinominato, un grande cimitero) rispetto all’anno precedente: sono più che raddoppiate, da 513 nel 2020 a 1.146 nello stesso periodo di quest’anno (erano state 674 nel 2019). La rotta mediterranea centrale, quella fra la Libia e l’Italia, si conferma la più pericolosa con 741 decessi. L’organizzazione dell’Onu ha lanciato anche un appello ai Paesi a intervenire urgentemente ma la comunità europea non sembra avere fretta. Inoltre «15.300 migranti sono stati rimpatriati in Libia nei primi sei mesi del 2021, quasi tre volte di più rispetto allo stesso periodo del 2020 (5.476)».

L’Oim ha definito la situazione «preoccupante» perché queste persone sono poi soggette «a detenzioni arbitrarie, estorsioni, sparizioni e atti di tortura». E c’è chi ancora considera la Libia porto sicuro, in violazione al diritto internazionale, considerato ormai un impiccio.

Eppure di tempo per trovare soluzioni a questa mattanza ne abbiamo avuto. I primi naufragi mortali risalgono al 1988 nel canale di Otranto, vittime gli albanesi. Da quell’anno al 2 febbraio 2016 hanno perso la vita 27.382 stranieri, secondo le notizie riportate dalla stampa internazionale e raccolte dal blog «Fortress Europe» dell’italiano Gabriele Del Grande. Per il conteggio del progetto «Missing Migrants» della stessa Oim, dal 2014 sono morti o risultano dispersi nel Mediterraneo 20.014 persone. Sommando le due cifre e al netto del conteggio sovrapponibile (l’anno 2015 con 4.273 decessi) significa che almeno in 40 mila hanno perso la vita in mare in un trentennio. L’organizzazione dell’Onu a compendio dello studio specifica come «due terzi delle vittime risultano disperse senza aver lasciato tracce e questo rafforza la nostra posizione per cui c’è urgente bisogno di incrementare la capacità Sar (ricerca e soccorso in mare) nel Mediterraneo». E invece l’Ue non ha più una missione in mare da due anni, la Guardia costiera italiana non può uscire oltre le 20 miglia dai nostri porti, quella maltese se ne lava le mani e quella libica è in parte infiltrata dagli stessi trafficanti, compiendo atti criminali: pochi giorni fa un’imbarcazione è stata inseguita in acque internazionali, con tentativi di speronamento e spari contro i migranti dalla motovedetta finanziata dall’Italia.

Nel Mediterraneo a vigilare su eventuali naufraghi restano solo un paio di navi di organizzazioni non governative (ong). Questo sistema è stato criminalizzato da una parte della nostra politica e dell’opinione pubblica, accusato di operare in combutta con i trafficanti e di attrarre migranti. Negli ultimi 4 anni sono state avviate 20 inchieste giudiziarie contro le ong, ma non hanno portato ad alcun processo: tutto archiviato. Alcune organizzazioni nel frattempo hanno cessato l’attività: avendo le navi in blocco amministrativo non potevano più promuovere raccolte fondi private, altre hanno smesso per i troppi intralci burocratici. Queste imbarcazioni non attirano immigrati: lo evidenzia il fatto che pur rimaste ormai in poche, gli sbarchi in Italia sono invece triplicati nell’ultimo anno (oltre 20 mila persone nel 2021).

L’equazione «se i migranti non partissero, non morirebbero» è tanto ovvia quanto cinica. Perché gli immigrati partono, inseguiti da guerre, persecuzioni o miseria. La redistribuzione tra i 27 Paesi Ue è fallita perché su base volontaria. A fine giugno il Consiglio d’Europa riunito a Bruxelles ha dedicato al tema 10 minuti, senza dibattito e rinviando all’autunno (non c’è urgenza…) il piano per l’Africa, dove per lo meno si sottolinea la necessità «di intensificare i partenariati e la cooperazione con i Paesi d’origine e di transito», una delle chiavi di volta per gestire l’immigrazione. Ma andrebbe affrontato anche il tema del diritto d’asilo, spesso violato ai confini d’Europa e al suo interno: chi scappa da un conflitto non dovrebbe trovare ospitalità attraverso canali umanitari? La Danimarca con un documento ha dichiarato la fine della guerra in Siria (sarebbe comico se non fosse tragico: in quella terra martoriata ci sono zone dove si combatte ancora) e sta espellendo i rifugiati siriani. Alla Camera invece giovedì scorso è stato votato (con il no di deputati Dem, 5 Stelle e Leu) il rifinanziamento dell’ambigua Guardia costiera libica (in tre anni abbiamo versato a Tripoli oltre 780 milioni di euro…). Un emendamento del segretario del Pd Enrico Letta prevede che la formazione della Guardia passi all’Ue. Nel 2022: non c’è urgenza… Intanto nel Mediterraneo si continua a morire, per annegamento, per quella miscela micidiale di gasolio e acqua salata che si forma sul fondo dei gommoni e che scarnifica la pelle, ma anche di fame e di sete.

© RIPRODUZIONE RISERVATA