L'Editoriale
Lunedì 20 Giugno 2022
Nel caos Movimento Cinque Stelle il duello finale tra due capi
Chissà se sarà questo l’atto finale della dissoluzione parlamentare e politica del Movimento Cinque Stelle: di sicuro però la avvicinerà di molto. Luigi Di Maio e Giuseppe Conte sono ai ferri corti per la ragione che due capi non possono stare nella stessa stanza senza farsi la guerra, ma purtroppo per loro giocano la partita su un terreno delicatissimo: la collocazione internazionale dell’Italia di fronte alla guerra in Ucraina, la nostra fedeltà alla Nato, la lealtà europeista, la decisione di contribuire anche noi alla resistenza ucraina mandando armi e soldi a Kiev.
che Di Maio ha sposato pienamente (facendo dimenticare i suoi non lontanissimi tentennamenti populisti) e che invece Conte, accarezzando i tanti Cinque Stelle rimasti fermi all’ammirazione per Putin, utilizza per cercare di scalzare definitivamente il ministro degli Esteri, forse addirittura per spingerlo fuori dal movimento, questione peraltro all’ordine del giorno di una riunione convocata ieri a tarda sera.
L’idea che l’ex capo politico del Movimento, uno dei primi accoliti del fondatore Grillo, possa essere cacciato già dice quanto la situazione sia grave. Il caos interno è probabilmente ormai ingestibile e si canalizzerà proprio su questo scontro finale (o quasi) tra Di Maio e Conte in cui da giorni volano parole grosse («odio e livore contro di me» accusa il ministro degli Esteri; «È ora che tu te ne vada» replicano i contiani). Senza dimenticare che tra le fila dei parlamentari la questione dirimente è piuttosto quella della ricandidatura anche dopo il secondo mandato, e decideranno il da farsi sulla base delle promesse ricevute da questo o quel capo del movimento.
Nelle prossime ore sapremo comunque come andrà a finire questa crisi grillina già certificata dai disastrosi risultati elettorali delle scorse amministrative. E sapremo se Di Maio sarà fuori del movimento e, nel caso, quanti parlamentari si porterà dietro (si dice almeno 60 su 227, e vedremo come si atteggerà a quel punto Conte di fronte a Draghi e a Letta: domani i partiti della maggioranza devono mettere a punto la risoluzione da votare dopo il discorso che il presidente del Consiglio terrà in Parlamento in vista del vertice europeo del 23 e 24, e nessuna ambiguità sarà tollerata, nessuna frase «alla Conte» potrà essere messa nero su bianco e votata dall’Aula: ne va davvero della nostra linea internazionale su cui Draghi e Mattarella esercitano un controllo molto stringente.
Certo il presidente del Consiglio (insieme al Capo dello Stato) non può non guardare con grande preoccupazione al disfacimento di quello che è tuttora il partito più grande del Parlamento: 72 senatori e 155 deputati sono rimasti – dopo innumerevoli crisi, fughe e rientri, tradimenti ed espulsioni – sotto le insegne delle Cinque Stelle. Anche Enrico Letta guarda il campo dei suoi alleati, posto che così li si possa considerare, e teme il venir meno del suo tentativo di riconquistare al centrosinistra, proprio mediante l’intesa col M5S, i voti che non ha più e che dovranno servire a contrastare il centrodestra a trazione meloniana. Nessuno si illude che il caos grillino possa lasciare intatto l’equilibrio politico che regge il governo Draghi: è per questo che saranno in molti nelle prossime ore, a tentare la riappacificazione tra Di Maio e Conte in nome dell’interesse nazionale in questa congiuntura di estrema difficoltà per tutti. Ma c’è anche chi comincia a pensare che Di Maio possa diventare, nella sua nuova vita, uno dei capi di un ipotetico «Grande Centro» in cui far confluire tutti coloro che nella prossima legislatura non vogliono un governo Meloni ma nemmeno una sinistra formato «radical».
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