Nei volti degli atleti il simbolo dei Giochi

ITALIA. Il volto solare di Chiara Consonni, la sua totale incredulità che si è trasformata pochi secondi dopo in gioia immensa, in felicità che sprizzava da ogni poro per un oro insperato nella madison.

E il volto trasfigurato del fratello Simone con i denti digrignanti nella furiosa reazione dopo la caduta nella madison che ha compromesso la corsa all’oro, ma non quella all’argento. Sono le immagini simbolo in chiave bergamasca dell’Olimpiade di Parigi, assolutamente speciale se si pensa che i nostri atleti hanno conquistato quattro podi (ci sono stati anche il bronzo di Simone Consonni nell’inseguimento a squadre, sempre di ciclismo su pista, e l’argento di Giorgia Villa nel concorso di ginnastica artistica a squadre). Un poker Bg inedito nella storia delle Olimpiadi estive (tre medaglie ad Atene 2004) e ora il totale dei podi è salito a 17: 5 ori, 8 argenti e 4 bronzi. Anche il bilancio generale in chiave azzurra è stato super a Parigi, ed era nelle attese: 40 medaglie, record come a Tokyo, ma con 12 ori, due in più, e l’ultima gemma rappresentata dallo storico alloro del volley femminile del guru Julio Velasco (e di Myriam Sylla e Carlotta Cambi, ex Foppa) che ha schiantato gli Usa. Con la pallavolo rosa i trionfi più prestigiosi sono stati i tre ori di Nicolò Martinenghi nei 100 rana, dopo una volata incredibile, Thomas Ceccon nei 100 dorso e Alice D’Amato nella trave, prima italiana di sempre a vincere nella ginnastica artistica, e l’argento dei 10.000 metri di Nadia Battocletti che corre veloce come le africane. L’Italia va a medaglia da 37 giornate olimpiche di fila, l’ultimo digiuno il 17 agosto 2016 a Rio. Dato esaltante. Ci sono stati pronostici disattesi, compensati da medaglie che sono sbucate fuori da discipline ignorate dal grande pubblico e ora rientreranno nell’ombra, ma lo sport italiano ha dimostrato di essere in salute, giovane e di grandi potenzialità pensando già a Los Angeles 2028, sempre più multietnico e unito, e con le donne formidabili protagoniste: la loro è una rivoluzione silenziosa (7 ori su 12; 2 trionfi misti).

Sono stati i Giochi della perenne sfida tra Cina e Usa, decisa in favore degli statunitensi per numero di podi (126 a 91; stesso numero di ori: 40), della grandeur spocchiosa della Francia sublimata dall’eroe Léon Marchand, la stella assoluta dei Giochi con quattro ori nel nuoto, della prima medaglia della squadra dei rifugiati con Cindy Ngamba nel pugilato, della magia di una Parigi ammaliatrice con lo spettacolo di folla tra i monumenti (sorvoliamo invece sulla Senna curiosamente balneabile solo nei giorni di competizione e sul villaggio olimpico con il confort di un ostello mediocre), dell’oro controverso nel pugilato dell’algerina Imane Khelif, al centro delle accuse e di una bufera mediatica perché iper androgina, e dei tre ori (Giovanni De Gennaro, Alice Bellandi e Anna Danesi) per Roncadelle, paese bresciano di 9.500 abitanti. Ma riallacciamoci ai due fratelli Consonni di Brembate Sopra (un oro, un argento e un bronzo: come l’Argentina). Perché non sono stati solo i loro volti e le loro storie a restare impressi nel cuore e a regalare emozioni. Restando a Bergamo c’è anche il sorriso radioso di Giorgia Villa, lei di Brembate, che aveva dovuto rinunciare in extremis ai Giochi di Tokyo per un guaio alla caviglia sinistra e che a Parigi, di scena nelle parallele asimmetriche, ha centrato con le «Fate» un podio che il movimento attendeva da 96 anni. Anni di allenamenti quotidiani, di sacrifici, sudore e sofferenza per giocarsi tutto in un giorno. E la differenza tra gloria e delusione può dipendere da centesimi di secondo, anche meno, com’è stato il caso della finale più iconica, i 100 metri, con lo statunitense Lyles che ha beffato al fotofinish per cinque millesimi di secondo il giamaicano Thompson. Pensiamo anche al cassanese Matteo Zurloni che nell’arrampicata sportiva è stato eliminato nei quarti per due millesimi di secondo. Il suo commento è stato, allargando le braccia con un sorriso: «Che potevo fare di più?». Eccolo qui lo spirito olimpico, il marchio vincente dell’Italia che a Parigi può recriminare per le medaglie di legno, addirittura 25. Sì, ci sono stati proteste e ricorsi dell’Italia per gravi errori arbitrali in judo, scherma, pugilato e pallanuoto ma loro - i protagonisti - hanno accettato sempre il verdetto con filosofia e sportività.Emblematica Benedetta Pilato. Dopo aver perso per un centesimo di secondo il bronzo nei 100 rana, si è presentata ai microfoni e ha pianto, ma le sue lacrime non erano di disperazione, bensì di felicità, definendo quel giorno «come il più bello della mia vita». È stata criticata, ha replicato così: «Nessuno può dirmi per cosa gioire, il mio è un percorso. Non mi piace perdere, ma quando arrivo quarta devo accettarlo». Chapeau. Millesimi di secondo, ma anche calcoli renali. Sono quelli che hanno stroncato Gianmarco Tamberi, il campione azzurro più istrionico e social. Puntava al bis nel salto in alto e invece di lui si ricorderanno i post su Instagram dal pronto soccorso. Senza forze e smunto, si è arreso a 2,27 metri. Con tristezza indicibile, non trattenendo le lacrime, ha commentato: «Non meritavo questo incubo, ho dedicato tutta la mia vita allo sport e ora mi rendo conto che gli ultimi tre anni sono stati vani…». Onore a Gimbo. È vero, non si deve esagerare con lo spirito olimpico, i Giochi sono anche politica e le nazioni forti ci vanno per vincere, non per partecipare, è una feroce guerra sportiva, però gli atleti sono il patrimonio più sano. Da applaudire. E ora rituffiamoci nel calcio, ma già con un po’ di nostalgia.

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