Nei programmi quale Italia sarà

Anziché allo sterile esercizio del totoministri sarebbe più utile, in questa fase istituzionale di attesa, dedicarsi al totoprogramma. È lì che si potrà meglio capire il futuro immediato del Paese, che ha meno dei tradizionali 100 giorni per entrare in sintonia con il primo governo destra-destra della Repubblica. L

a chiave per capire è quella delle priorità. Bisogna infatti chiudere a doppia chiave in un armadio tutto quello che si è detto in campagna elettorale con i sogni di 100/150 miliardi di nuova spesa pubblica. Li spenderemo quando e se li avremo, mentre ora i problemi si presentano con prepotenza da soli. L’elenco delle priorità ineludibili è impressionante, da far tremare i polsi a qualunque governo. E non si tratta di essere di destra o di sinistra, ma di essere preparati, competenti e molto concreti.

Proviamo a valutare queste priorità senza neppure parlare di bollette, come se non fossero decuplicate. Certo sono cose complicate, non buone per i tg della sera, dove tutti sventolano bollette, anche quelli che hanno bloccato per decenni una politica per l’energia, tanto c’era il «buon» Putin. Entro fine anno va varata la legge di bilancio, altrimenti si va in esercizio provvisorio, proprio mentre l’Ue sta per reintrodurre il suo Patto di stabilità (austerità, amara chimera…). Vale almeno 40 miliardi, di cui più della metà già spesi, anche senza far nulla, perché ci sono aumenti legati all’inflazione, rinnovi, spesa militare ecc. Subito a ruota c’è da pensare a far ripartire l’attuazione del Pnrr. Sono in arrivo altri 21 miliardi, dopo i primi 24, circa la metà a fondo perduto, ma i prossimi 19 hanno necessità di verifica entro il 31 dicembre prossimo di 29 obiettivi raggiunti. Riusciranno i nostri eroi? L’Europa paga per ora puntualmente, ma l’attuazione non può fermarsi (siamo solo al 20%) e tantomeno la concreta messa in circolo dei soldi (ad agosto solo 11,75 miliardi spesi, forse 15 a fine anno) e l’attuazione delle riforme (vedi concorrenza rinnegata in campagna elettorale e voto compatto dei balneari grati).

Vengono poi le non controriforme peggiorative di quanto già c’è. Se tocchi la Fornero o rifinanzi il Rdc salta il tappo. Solo così il debito non è andato al 160% come si prevedeva e anzi è sceso da 155 a 145 del Pil, la più grande frenata del nostro secolo. Se salta, impatta sulle politiche della Bce di riduzione dagli acquisti massicci di bond (il 40% del debito italiano è già a Francoforte) e dobbiamo rinnovare 100 miliardi entro dicembre e ben 339,8 nel 2023 (più o meno ogni anno è cosi). Pagano stipendi pubblici e pensioni. Dice niente il brontolio delle agenzie di rating come Moodys e a breve Ficht che fanno capire che senza fare davvero le riforme, parte la speculazione? Intanto, il costo del denaro aumenta. Bce è già intervenuta due volte, la Fed addirittura 5 solo quest’anno. Sono i mutui delle famiglie, i prestiti delle imprese (le garanzie scadono a San Silvestro: solo per quelli di 30 mila euro riguardano 1,3 milioni di imprese, e valgono 42 miliardi!).

Altra tegola: l’inflazione. Nel carrello è già a doppia cifra. Da un anno speriamo che si raffreddi ma è ancora in salita. Non la si può inseguire con eterni bonus e tristi click days per 100 euro. Occorrono massicci investimenti, sviluppo, industria 4.0, disboscamento burocratico, Ponti Morandi da costruire ogni anno al volo. Sarebbe legittimo che i vincitori delle elezioni potessero dar corso ai loro programmi, specie quelli che non costano troppo. Da discutere, ma legittimi il presidenzialismo o le autonomie, certo indispensabile una legge elettorale almeno decente, ma le priorità sono altre e il totoprogramma è insomma già scritto. Va realizzato.

E, pensate un po’, come premesso, non abbiamo neppure parlato di bollette, almeno per far dormire la notte quelli del toto ministri. Gli capiterà tra capo e collo l’Italia più difficile dell’ultimo mezzo secolo: pandemia in ripresa, guerra con scenari nucleari, diffidenza dei partners tradizionali, Europa in fibrillazione, Bce avara. Meritano incoraggiamento e siamo tutti interessati a che facciano bene, ma lascino chiuso nell’armadio l’avverbio «gratuitamente» che piace tanto a Conte.

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