L'Editoriale
Martedì 04 Ottobre 2022
Nazioni Unite appannate ma unica via per la pace
L’annessione da parte di Putin di quattro regioni grandi quanto il Portogallo mette in luce ancora una volta l’inefficacia del diritto internazionale e la debolezza dell’Onu. Eppure una delle ragion d’essere dell’erede della Società delle Nazioni era proprio questa: consentire l’autodeterminazione dei popoli, evitando referendum-farsa come quello che si è consumato sotto la minaccia dei mitra russi.
Questo proprio affinché la pace, che è la priorità delle priorità delle Nazioni Unite, non si basi solo sull’arbitrio delle grandi potenze o gli azzardi dell’autocrate di turno, ma tenga conto di un equilibrio generale tra tutti gli Stati e soprattutto tra tutti i popoli. L’alternativa è quella che Tacito fa dire al generale della Caledonia Calgaco: «Dove fanno il deserto, la chiamano pace». A quel tempo era l’impero romano a devastare le province conquistate e a ricostruirle, oggi potrebbero essere gli Stati Uniti, o la Russia, o la Cina o persino la Turchia, tanto per citare alcuni Stati con eterne pretese imperiali. L’imperialismo è una malattia geopolitica difficile da far scomparire.
Eppure l’Onu continua a non funzionare, come avvenne con i massacri delle guerre balcaniche. Lo si è visto con l’invasione russa dell’Ucraina. Tutto viene bloccato dai veti di Mosca e Pechino al Consiglio di sicurezza. È sempre stato così, perché il sistema giuridico del Palazzo di vetro riflette quello dell’indomani della Seconda Guerra mondiale, così come quello della Società delle Nazioni si basava sulla Conferenza di Parigi del 1919, quando sparirono quattro imperi: ottomano, tedesco, asburgico e russo. L’ultimo dei quali non ha mai rinunciato alle pretese imperiali della Terza Roma, sostenuto dal disegno della sua Chiesa ortodossa, che infatti oggi è la maggiore sostenitrice del disegno imperialista di Putin. Questo spiega almeno in parte la folle e disumana invasione russa di quello che considerava un suo Stato cuscinetto, al pari della Bielorussia o della Serbia.
La globalizzazione, con la frammentazione delle rivendicazioni territoriali e l’annullamento dei confini nazionali, non ha certo favorito il processo di pace e il disarmo, altro grande obiettivo delle Nazioni Unite. «Oggi un vento di follia soffia sul globo», scriveva nel 2020 il segretario generale Antonio Guterres. «Dalla Libia allo Yemen passando per la Siria e oltre, l’escalation è tornata. Le armi circolano e le offensive si moltiplicano. Nel frattempo, le risoluzioni del Consiglio di sicurezza vengono infrante ancor prima che l’inchiostro sia essiccato». Se l’organo esecutivo è paralizzato, non è che le altre organizzazioni transnazionali siano più facilitate a garantire la pace e la prosperità. L’Unione europea, costruita per assicurare la non belligeranza in un continente che era stato divorato da guerre di ogni tipo, fatica a portare avanti proposte e risoluzioni a causa dei suoi bizantini e superati meccanismi giuridici, frutto del compromesso tra autodeterminazione degli Stati membri e aggregazioni in grado di fare da massa critica contro le grandi potenze del mondo multipolare, come la Cina, la Russia o gli Stati Uniti.
Eppure non esistono strade alternative. Le Nazioni Unite, parafrasando Churchill, sono il peggior tentativo di assicurare pace e sviluppo, sviluppo e diritti umani, esclusi tutti gli altri sistemi. Per questo la prima cosa da fare per riformare le sue strutture elefantiache è credere nella grande funzione di questo ente governativo fondato nel 1945, mai venuta meno. L’alternativa è costituita da quei deserti prodotti con la guerra in tutto il mondo che gli invasori di turno chiamano pace. Proprio ora che le lancette dell’incubo nucleare sono tornate a segnare cinque minuti a mezzanotte.
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