Navalny, la politica tra unità e imbarazzi

IL COMMENTO. Una piazza del Campidoglio gremita aldilà delle previsioni ha accolto le delegazioni di tutti i partiti alla manifestazione-fiaccolata in ricordo di Aleksej Navalny e di condanna del regime oppressore di Vladimir Putin. L’iniziativa è stata presa da Carlo Calenda e, a uno a uno, al suo appello hanno aderito tutti i partiti mandando ognuno la propria delegazione, anche se non tutti i leader erano presenti.

C’era Elly Schlein ma non Giuseppe Conte; c’era Calenda ma non Matteo Renzi. Scontata l’assenza della presidente del Consiglio, non era presente Antonio Tajani, impegnato a Bruxelles con i suoi colleghi ministri degli esteri che hanno ascoltato la vedova di Navalny che intende prenderne il testimone. Da tutti i partecipanti parole esplicite di condanna e di accusa: nessun dubbio, l’ordine di uccidere Navalny è arrivato direttamente dalle stanze del Cremlino. «Chiediamo a Putin di fermarsi», ha detto il sindaco di Roma Gualtieri che probabilmente cambierà il nome della via dove si trova l’ambasciata russa della Capitale: si chiamerà via Aleksej Navalny.

Il caso politico annunciatissimo ha riguardato invece la Lega che ha inviato, assenti il leader Matteo Salvini e il vicesegretario Crippa (autore di un commento sulla morte del dissidente russo che ha raccolto molte critiche) il capogruppo Massimiliano Romeo giunto a dare man forte a due parlamentari leghisti della Commissione esteri non noti alla pubblica opinione. La Lega, che è stata l’ultima ad aderire alla fiaccolata, ha voluto farsi carico a sua volta di un segnale di unità delle forze politiche nei confronti di quanto di antidemocratico sta accadendo oltre il confine russo, ma la buona intenzione non è stata granché apprezzata da numerosi contestatori: e così è toccato proprio a Romeo il ruolo scomodissimo di rispondere sia ai giornalisti sia alle grida di chi gli ha ricordato i rapporti tra il Carroccio e il partito di Putin Russia Unita, o le magliette con l’immagine del dittatore russo indossate in più occasioni da Salvini, rivangando anche la faccenda dell’Hotel Metropole, ossia il cosiddetto caso Savoini, anche se dalle indagini della magistratura non è emerso alcun elemento significativo («Invenzioni e bufale» secondo il capogruppo della Lega).

Sui rapporti con la Russia putiniana Romeo ha detto che il tempo passa e con esso le posizioni mutano, e dunque la Lega – ha detto – condanna il governo di Mosca per l’invasione dell’Ucraina «che ha creato difficoltà enormi al mondo» e semmai rinfaccia ad altri di aver firmato contratti con Mosca sul gas e il petrolio a vantaggio degli affari del Cremlino. Quanto alla morte di Navalny, Romeo si è fatto cauto assumendo di fatto la stessa posizione di Crippa: «Voi dite che l’ha ucciso Putin – ha detto rivolgendosi ai giornalisti che lo incalzavano – ma avete delle certezze? Io non ne ho. Abbiamo piuttosto più di un sospetto ma non certezze. Per questo chiediamo alle autorità internazionali di procedere per fare chiarezza sull’accaduto e perché chi è responsabile della morte del dissidente paghi». A questo punto sono partiti i fischi e gli insulti, al punto che poco dopo la Lega ha diramato una nota per criticare i contestatori che «non hanno capito il significato della lezione di Navalny che ha dedicato la propria vita alla libertà».

La partita si è dunque chiusa in questo modo, con un sostanziale pareggio: la Lega ha dimostrato di voler rompere un certo accerchiamento che le si crea intorno ogni volta che si parla di Putin ma non ha potuto evitare i contrasti con elettori evidentemente non simpatizzanti del Carroccio. Del resto, più che nelle manifestazioni, il rapporto con la Russia oggi si misura soprattutto nelle decisioni di sostegno anche armato all’Ucraina invasa, e finora la Lega non ha mai fatto mancare il proprio voto favorevole in Parlamento e nel Governo.

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