L'Editoriale
Giovedì 05 Dicembre 2019
Nato, 70 anni di pace
Divisa sulle sfide future
Mai in passato prima d’ora i leader dei Paesi della Nato sono apparsi così divisi tra loro. Per due giorni a Londra i ventinove membri dell’Alleanza atlantica celebreranno i 70 anni dell’organizzazione militare e si interrogheranno sul daffarsi. Le sfide non mancano, ma preoccupano - e non poco - i litigi e l’ordine sparso con cui si intendono affrontare questioni vitali. L’agenda dei lavori è fittissima: si va dalla riforma dell’Alleanza alle spese dei singoli Stati fino alle concrete risposte da dare a Russia e a Cina.
Il nocciolo della questione è capire se la Nato è ancora il baluardo insormontabile della sicurezza in Europa oppure è venuto ormai il momento per far nascere una vera forza militare continentale, chissà se ancora sotto l’ombrello dell’Alleanza atlantica. Recentemente il presidente francese Macron è arrivato addirittura a parlare di «morte cerebrale» della Nato, poiché «non c’è il più piccolo coordinamento per prendere decisioni strategiche». Durissima è stata la risposta del turco Erdogan, sentitosi chiamato in causa, poiché aveva comprato sistemi anti-aerei sofisticati dalla Russia, irritando gli Stati Uniti e l’Ue. La tedesca Merkel ha cercato di riportare la calma, ricordando ai colleghi che «l’Alleanza atlantica resta la pietra angolare della nostra sicurezza».
A scompaginare la situazione, secondo Macron, è stata l’elezione di Donald Trump, il primo presidente Usa a non condividere il progetto europeo. Il capo della Casa Bianca ha puntato soprattutto il dito sulla questione finanziaria: troppi sono i membri che non raggiungono la quota di partecipazione (2% del Pil in spese militari), su cui i 29 si sono accordati.
Alcuni Paesi, tra i quali la Germania, vorrebbero che nel calcolo vengano considerate anche le somme spese per lo sviluppo di forze nazionali e comunitarie. Gli americani paiono, invece, essere più concentrati sull’adesione alle loro commesse.
Alla vigilia del summit londinese il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha evidenziato come non vada toccato l’articolo 5, definito «chiave», - quello che se un membro alleato viene attaccato tutti gli altri sono obbligati ad intervenire – e che serve un ammorbidimento verso la Russia. Il rischio è, come da anni ammonisce Henry Kissinger, che Mosca venga buttata definitivamente tra le braccia di Pechino, come hanno dimostrato le imponenti manovre strategiche congiunte. Le posizioni anti-occidentali, anti-democratiche e le denunciate interferenze russo-cinesi durante le campagne elettorali provocano fastidio ai 29. La crisi ucraina, scoppiata nel 2014 e non ancora risolta, e gli eventi di Hong Kong influenzeranno di sicuro le future decisioni.
Sul piano militare le nuove sfide sono rappresentate dallo sviluppo della difesa nello spazio, dal pericolo del dislocamento di missili a medio-corto raggio in Europa come negli anni ’80 all’epoca della crisi degli «euromissili», dalle discussioni sul rinnovo dello Start 3 in scadenza nel 2021. Tornare alle ragioni della nascita della Nato ed analizzare quali sono i risultati ottenuti finora potrebbe aiutare a comprendere cosa fare in futuro. Nel 1949 l’Alleanza fu fondata per far sì che gli americani facessero da mediatori ascoltati nelle diatribe tra i litigiosi europei, si tenessero i tedeschi sotto e i russo/sovietici fuori. Tale situazione ha garantito ben 7 lustri di pace. Se si sfogliano i libri di storia è difficile trovare un periodo così lungo privo di vere ostilità distruttive. Senza questa organizzazione militare difensiva non sarebbe forse neanche nata l’odierna Unione europea come la conosciamo noi.
In ultimo gli interessi nostrani. Il pericolo che prenda forma un’Europa a conduzione economica tedesca ed una militare post Brexit ad impronta francese non è da ritenere remoto. Definire le giuste mosse sarà fondamentale.
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