Natalità: i casi Cina e Francia, indicazioni per l’Italia

MONDO. La crescita del numero degli abitanti del pianeta è su una traiettoria insostenibile sotto vari punti di vista. La Cina ha una popolazione talmente numerosa da consentirle di dominare la geopolitica mondiale nel futuro; la Francia è l’unico Paese d’Europa a non avere problemi di natalità.

Ecco tre cliché tuttora radicati nell’opinione pubblica, inclusa quella italiana, eppure platealmente falsificati da una lettura attenta dei dati più recenti. Partiamo dalla Cina, il cui Ufficio nazionale di statistica ieri ha comunicato il numero di abitanti nel 2023: 1.409.670.000, quindi poco più di un miliardo e quattrocento milioni. Cifra monstre per gli standard dei «piccoli» Stati nazione europei, ma dietro la quale si celano cambiamenti profondi. Lo scorso anno la popolazione della Repubblica popolare è diminuita per il secondo anno consecutivo, di oltre due milioni di unità, come non accadeva dai tempi della Grande carestia del 1960. Sempre lo scorso anno il Paese asiatico ha registrato 11 milioni di decessi a fronte di «solo» 9 milioni di nascite nello stesso arco temporale, nascite che appena nel 2016 erano il doppio. In quello che fino a pochi mesi fa era il Paese più popoloso del pianeta, superato adesso dall’India, assistiamo dunque a una inversione di rotta così drastica da cogliere di sorpresa perfino alcuni addetti ai lavori. Alla base di tutto - e al netto di fluttuazioni dovute alla pandemia da Covid-19 - c’è un impressionante calo della natalità: oggi, secondo stime di demografi indipendenti cinesi, nel Paese il tasso di fecondità (o numero medio di figli per donna) è pari all’1,05. Inferiore al tasso di fecondità italiano che è 1,22 e ben distante dal tasso di sostituzione naturale che serve a mantenere una popolazione stabile, fissato a 2,1.

Sono diverse le possibili spiegazioni del declino demografico cinese: il costo crescente dell’educazione, la crisi dell’istituto matrimoniale, il rallentamento dell’economia dovuto alla bolla immobiliare, la conseguenza di uno dei più spietati esercizi di ingegneria sociale che è stato la politica del figlio unico fino a dieci anni fa. Sicure le conseguenze negative: il restringimento già in atto della forza lavoro che è stato uno degli asset del miracolo dell’ex Impero Celeste nel ventesimo secolo, la ridotta sostenibilità del sistema pensionistico e di welfare, la riduzione della dinamicità di tutta l’economia. Non a caso un numero crescente di analisti internazionali mette in dubbio, proprio a partire da simili squilibri demografici, l’ineluttabilità del «sorpasso» geopolitico della Cina ai danni degli Stati Uniti.

Passiamo ora al caso francese. Il Paese d’Oltralpe, nel 2023, ha fatto segnare il suo record negativo di nascite dalla fine della Seconda guerra mondiale. L’anno scorso infatti sono nati 678mila francesi, il 6,6% in meno dal 2022, con un calo ininterrotto dal 2010 quando i nati furono 832.799. Un caso nazionale, tanto che il presidente della Repubblica Macron, nella sua conferenza stampa di inizio anno, ha appena annunciato nuove misure choc per sostenere la natalità: dai sei mesi di congedo parentale retribuito per entrambi i genitori al «grande piano» di lotta all’infertilità che nel Paese colpisce circa una coppia sul quattro.

Indicazioni utili per l’Italia? Almeno due. La prima: gli squilibri demografici sono «silenziosi» ma hanno una forza tale da indebolire anche le economie più grandi, come quella cinese, figurarsi la nostra. La seconda indicazione: le politiche pubbliche pro natalità, incluse quelle tradizionalmente indicate come modello (vedi la Francia), devono essere continuamente analizzate nei loro effetti, ripensate e aggiornate. Pena accorgersi troppo tardi della loro sopraggiunta inefficacia.

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