L'Editoriale
Mercoledì 27 Novembre 2024
Motori nuovi per ridare slancio all’industria
ITALIA. È evidente che l’interruzione, anche solo momentanea, di una fase di caduta della produzione industriale non è sufficiente per riportare l’ottimismo sul fronte economico.
I dati diffusi ieri dalla Camera di commercio dicono infatti che la produzione manifatturiera della nostra provincia nel terzo trimestre è rimasta invariata rispetto al trimestre precedente. Ma se spostiamo il confronto sullo stesso periodo dell’anno scorso, siamo ancora in negativo. Non di tantissimo, è vero: -0,8%. Tanto basta, tuttavia, per arrivare a sei trimestri consecutivi in rosso. Significa diciotto mesi, un anno e mezzo. Ed è vero che le nostre fabbriche sono resilienti, tanto che l’occupazione non ne sta risentendo, almeno per adesso visto che è da mettere in conto che il lavoro segua sempre con un margine di ritardo l’andamento produttivo. È però altrettanto vero che le aspettative registrate dalla rilevazione camerale sull’ultimo trimestre dell’anno in corso sono pesanti e tali da impensierire: 11 punti in meno per la produzione (saldo tra previsioni di crescita e di calo), uno in meno per l’occupazione e soprattutto 22 in meno per la domanda interna e 13 in meno per la domanda sui mercati esteri.
Rallentamento economico generalizzato
Il rallentamento dell’industria è generalizzato nel mondo, ma è più forte nell’Eurozona. L’indice di fiducia delle imprese industriali europee è pesantemente negativo (come quello delle famiglie), mentre è stabile e positivo quello delle imprese di servizi. Per vedere spiragli di prospettiva per il manifatturiero nostrano vale la pena andare a rileggere il Rapporto Draghi, di cui già si sono perse le tracce in attesa che veda la luce la nuova Commissione von der Leyen.
Necessità di accelerare l’innovazione
Fra le trasformazioni che l’Europa deve affrontare, il Rapporto mette al primo posto «la necessità di accelerare l’innovazione e trovare nuovi motori di crescita». I settori in cui la Cina è in diretta concorrenza con gli esportatori europei sono aumentati. In questo contesto, la quota occupata dall’Ue nel commercio mondiale sta diminuendo. Il calo è diventato particolarmente significativo dall’inizio della pandemia, mentre la Cina, per quanto pure la sua economia abbia rallentato negli ultimi anni, dal 2000 in poi ha accresciuto il proprio peso nel commercio globale di 13 punti percentuali. La posizione europea sui mercati internazionali rischia invece di essere ulteriormente minacciata e ridimensionata da eventuali dazi, in essere e in arrivo.
Europa e tecnologia
A queste considerazioni si aggiunge un altro dato, se possibile ancora più preoccupante: il peso dell’Europa nelle tecnologie avanzate, sottolinea il Rapporto Draghi, sta diminuendo. Dal 2013 al 2023 la quota Ue di ricavi tecnologici è scesa dal 22% sul totale mondo al 18%, mentre quella degli Usa è salita dal 30% al 38%. Non tutto è perduto. Se le crisi sono opportunità, l’Europa può coglierla sempre che riesca a trovare la rotta di una governance più fluida e sappia investire bene. Quegli investimenti su cui noi come singolo Paese Italia rischiamo di avere le mani legate a causa del peso del debito pubblico, arrivato a sfiorare la cifra monstre di 3mila miliardi.
L’ok dell’Europa al piano di risanamento italiano
Giusto ieri la Commissione europea ha approvato il piano di risanamento su sette anni varato dal governo e la manovra per il 2025. Non può che essere una notizia positiva: la linea della serietà e del rigore è stata promossa. Ma non c’è troppo da cantar vittoria (e nemmeno da gongolare per gli esami di riparazione chiesti alla Germania). Nelle pieghe di un bilancio che cammina sulle uova di una spesa per interessi che supera quella per la scuola, resta ben poco spazio per dare nuovi motori di crescita all’industria, se non concentrare le forze su alcune scelte strategiche anziché perdersi in tanti rivoli e rendere più fruibili i soldi che ci sono, vedi Transizione 5.0.
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