Mosca scopre il pericolo. Tre messaggi con i raid

MONDO. Danni materiali limitati, ma un duro colpo all’immagine del potere presso la propria opinione pubblica unito ad un terremoto psicologico alle sicurezze dei singoli individui.

Ad inizio maggio in piena notte misteriosi droni sono esplosi sopra al Cremlino; adesso le detonazioni hanno preso di mira all’alba le zone residenziali di Mosca. La tragedia russo-ucraina è iniziata nella capitale e proprio qui finirà. È stato sempre così nella storia; difficile che possa esserci un’eccezione. Ecco quindi la rag ione per cui è fondamentale tentare di capire cosa sta succedendo in un Paese con dinamiche diverse da quelle occidentali. Se ad inizio maggio era il potere russo l’obiettivo degli attentatori, in seguito lo sono state le élite federali e le dacie dei potenti.

Il messaggio delle «menti fini» - che stanno dietro a questa «strategia della tensione» con azioni dimostrative tanto clamorose quanto dagli scarsi effetti militari - è chiaro: sappiamo dove abitate, occhio a quello che fate. Diciamolo subito: Vladimir Putin non poteva scegliersi un avversario peggiore.

Qui non si ha a che fare, ad esempio, con i radicali islamici caucasici come nei tribolati anni Novanta, quando i kamikaze giravano per la capitale in cerca di obiettivi da far saltare in aria. Qui di mezzo c’è gente che conosce i russi e il loro modo di pensare come le proprie tasche. Tre aspetti ulteriori vanno evidenziati. Il primo è che, colpendo il Cremlino, si voleva far perdere agli occhi del russo medio quella specie di sacralità o temuta riverenza che ha quella collinetta cinta da mura - erette alla fine del 15° secolo, avendo nella mente il Castello Sforzesco. Ma attenzione, storicamente, il cittadino comune considera il potere moscovita qualcosa di lontano da sé, da cui in passato si è dovuto difendere per sopravvivere. Si pensi alle spaventose pagine di violenza contro la persona scritte da Ivan il Terribile, fino a Stalin.

Qui non è come in Occidente in cui lo Stato è sempre e comunque qualcosa di «nostro», espressione diretta della volontà popolare. Con quell’azione contro il Cremlino si voleva dimostrare alla popolazione che anche il potere può trovarsi in pericolo e non è imbattibile come potrebbe sembrare. Il secondo aspetto da menzionare è l’invito alle élite, quelle che sostengono l’attuale Amministrazione, a rendersi conto di cosa sta accadendo e ad agire. Non ci sono luoghi sicuri in cui godersi impunemente i soldi messi da parte con la connivenza del potere, il significato implicito contenuto in quel brusco risveglio all’alba. La feroce reazione di Vladimir Soloviov, uno dei «propagandisti» più accesi, «ma anche quelli sono nostri connazionali» contro i troppi post di giubilo sui social media - perché è stata bombardata l’odiata «Rubliovka» - indica come qualcuno possa aver iniziato a mettere il dito in una delle piaghe russe: l’ingiustizia sociale. Il terzo aspetto è che è stata toccata la «sicura» Mosca.

Che nessuno pensi di tirarsi fuori da questa tragedia, suona ora la sveglia rivolta allo sfuggente russo medio, che finora ha alzato un muro di gomma davanti al dramma, facendosi «rimbalzare» tutto. La frase «che c’entriamo noi? Quello è un affare di Putin» ormai non regge più. Se ne sono già accorti a loro spese gli abitanti delle regioni confinanti di Belgorod, Kursk, Krasnodar più volte seriamente bombardate. Le «menti fine» sanno, come dimostrarono i bolscevichi nel 1917 e Eltsin nel 1993, che bastano centinaia di uomini ben armati per prendere la Russia dall’interno, ma per occuparla dall’esterno milioni di soldati sono davvero pochi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA