L'Editoriale
Mercoledì 30 Marzo 2022
Mosca cambia approccio ma la strada
sarà in salita
Primi timidi passi verso una tregua. La Russia «riduce» le sue attività militari al Nord, attorno a Kiev e alla città di Chernigov, mentre le delegazioni dei due Paesi a Istanbul danno forma ad una futura trattativa tra lo scetticismo generale. Mosca, di fatto, ha preso atto che la sua avanzata a Nord verso la capitale si è impantanata per la durissima reazione delle Forze armate ucraine. I piani della vigilia di una «guerra lampo», basati su informazioni rivelatesi a dir poco lacunose, non erano corrispondenti alla realtà.
In pratica, l’obiettivo principale, invero mai dichiarato, ossia quello di rovesciare il presidente Zelenskij e il suo governo, instaurando un Esecutivo filo-moscovita, viene considerato fallito. Pensare di dare oggi l’assalto a Kiev, dove sono asserragliati in armi migliaia di soldati e civili, è senza senso. Adesso, annunciano i militari federali, l’azione si concentrerà sulla «sicurezza» del Donbass.
In realtà, all’apparenza, rimane ancora intatto l’obiettivo secondario, indicato da alcuni esperti russi già un mese fa, ma mai reso noto pubblicamente: ossia creare un corridoio a Sud che faccia diventare il mare d’Azov un mare interno; garantire l’approvvigionamento idrico alla Crimea riappropriandosi del canale omonimo dalle parti di Kherson e, chissà, spingersi fino a Odessa, anche se non si riesce a piegare la resistenza nemmeno a Nikolaev.
Sia ben inteso: il capo delegazione russo a Istanbul ha presentato la «riduzione» dell’attività nel Nord come un primo elemento di de-escalation, un atto di buona volontà, ma ha sottolineato che si è ancora lontani da un cessate il fuoco. Nei giorni scorsi, al contrario, gli ucraini hanno sostenuto che erano riusciti a rioccupare alcuni villaggi e cittadine intorno a Kiev e i russi avevano iniziato lavori per approntare delle difese.
Non si capisce, in breve, quanto questo atto di buona volontà da parte di Mosca non coincida invero al Nord con l’effettiva perdita di iniziativa.
La differenza semmai rispetto ai passati incontri tra delegazioni russo-ucraine è che a Istanbul non si è assistito alla presentazione di ultimatum da parte dei rappresentanti di Mosca, i quali, al contrario, hanno ricevuto le offerte di quelli di Kiev. In sintesi: Ucraina con status di Paese neutrale – quindi «no» alla Nato - ma all’interno dell’Unione europea con garanzie internazionali; «no» ad uso di armi per il ritorno sotto sovranità ucraina di Donbass e Crimea. Secondo alcuni membri delle delegazioni la trattativa dovrà ora essere fatta direttamente da ministri degli Esteri e capi di Stato in prima persona.
La sensazione è che i russi abbiano cambiato atteggiamento, iniziando finalmente ad accettare i rappresentanti ucraini – un mese fa etichettati come nazionalisti o peggio nazisti – come interlocutori.
La feroce resistenza di Zelenskij e delle Forze armate di Kiev, il coraggio del suo popolo sceso in armi in massa hanno cambiato le sorti di questa campagna. Ma non solo: le sanzioni occidentali stanno portando a più miti consigli.
Tuttavia con i morti e le distruzioni che ci sono stati, non sarà facile che i principali protagonisti di questa tragedia riescano ad uscire tutti a testa alta rispetto alle proprie opinioni pubbliche.
La vera trattativa è ancora da cominciare e sarà in salita: cosa fare del Donbass dopo otto anni di sangue? Dividere i destini di Crimea e città di Sebastopoli è logico ed è presente già nei documenti del 1954, ma poi?
Ci vorranno idee innovative e volontà di raggiungere la pace. Altrimenti le armi non taceranno, come già ora succede a Mariupol.
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