Morti bianche
mai fatalità

Sul lavoro la morte non va in vacanza. Anzi proprio in questo periodo gli incidenti aumentano per l’allentarsi dei controlli e dell’attenzione necessaria sul posto di lavoro. Gli infortuni continuano al ritmo di tre al giorno in tutta Italia ma ci sono settimane in cui questo stillicidio su cui si posa la nostra indifferenza distratta sembra un inferno. Nella geografia delle morti bianche ieri è toccato ancora una volta alla nostra terra, l’ennesima tragedia straziante sui cantieri che ha colpito un operaio di 36 anni. Appena 24 ore dopo l’episodio di un lavoratore del Foggiano schiacciato da una lastra di calcestruzzo.

Domenica scorsa in Valtellina un guardiacaccia di appena 18 anni ha perso la vita. Ed è ancora lacerante il ricordo di Laila El Hartim, la donna stritolata da un macchinario di un’azienda di packaging di Modena. Pare che la dipendente non fosse stata formata all’utilizzo del macchinario. E proprio mentre stiamo scrivendo queste righe arriva la notizia di un chimico di 56 anni rimasto ustionato in un’azienda di Asti, spirato in ospedale.

L’indignazione non basta più di fronte alle morti bianche. Come ha ricordato tante volte il capo dello Stato Mattarella le morti sul lavoro non sono quasi mai una fatalità. L’obiettivo di uno Stato di diritto è zero vittime e invece dopo anni in cui il fenomeno registrava una curva discendente è tornato ad assumere proporzioni sempre più vaste, complice il caos della pandemia, la crisi economica, la poca vigilanza, una visione ottusa di tanti datori di lavoro ma spesso anche la scarsa attenzione e vigilanza delle rappresentanze aziendali che dovrebbero comportarsi come un pungolo e non concedere attenuanti a chi non rispetta la sicurezza.

Una piaga sociale. Nell’intero scorso anno le denunce per infortuni sono state 375 mila contro le 415 mila del 2019, i decessi 799 contro i 705 dell’anno precedente. Nei primi cinque mesi di quest’anno sono già arrivate a quota 219 mila (erano 207 mila nello stesso periodo del 2020), le morti a 434 (432 nell’anno precedente), pari appunto a circa tre vittime al giorno. Se la tendenza media dovesse confermarsi, a fine 2021 avremo quasi mille decessi e più di mezzo milione di infortuni.

Da anni si inseguono le soluzioni e le proposte per frenare uno dei due fenomeni più gravi e devastanti della nostra società insieme con gli incidenti stradali. Si dovrebbero ad esempio aumentare le ispezioni, poiché ministero del Lavoro, Inps, Inl e Inail dispongono di un numero assolutamente insufficiente di funzionari preposti a questo genere di verifiche. Perché non provvedere a un’infornata di nuove assunzioni con i fondi del Recovery Fund? La rivista giuslavoristica «Diritti, lavoro, Europa» diretta dall’ex presidente del Tribunale del lavoro di Milano Piero Martello propone di concentrare a turno tutti gli ispettori in aree regionali, come un’armata in missione su un territorio, anziché disperdendoli su tutto il territorio nazionale, in modo da ottenere – procedendo a tappeto su un’area limitata - risultati visibili (l’87 delle aziende ispezionate risulta non in regola) e costituire da monito per i datori del resto d’Italia. Una strategia che darebbe certamente i suoi frutti.

Un’altra proposta interessante fatta dai sindacati riguarda una sorta di «patente a punti» per le aziende in materia di sicurezza. Dove ci sono troppi incidenti o irregolarità le imprese si troverebbero difficoltà nel partecipare alle gare d’appalto e avrebbero tutto il vantaggio a trovarsi in regola con la «fedina penale» della sicurezza. Anche le scuole devono fare la propria parte, educando gli studenti alla prevenzione. Ma quello che occorre più di tutto è una cultura d’impresa capace di guardare oltre il fatturato dei prossimi mesi. Una cultura d’impresa che non considera diritto alla salute e diritto alla vita come un ostacolo per i ricavi ma una perfetta osmosi con l’attività economica capace di produrre risultati ancora migliori, perché è dimostrato che un clima sereno e in sicurezza contribuisce all’aumento del fatturato. Non è solo un problema morale, che ovviamente rimane prioritario. Impresa e sicurezza non sono un «trade off», non sono antitetici ma devono viaggiare di pari passo. Considerare la salute e la sicurezza non un costo ma un investimento è il passo in avanti che tanti datori di lavoro ancora devono fare.

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