Mire russe sui territori più ricchi: pace lontana

Dopo più di un mese e mezzo di battaglie e atrocità indicibili, la guerra in Ucraina ci ha precipitati in un’attesa che logora anche i nervi più saldi. Si aspetta quella che qualcuno ha già definito la madre di tutte le battaglie, l’offensiva che il Cremlino dovrebbe lanciare per garantirsi il controllo dell’Est e del Sud dell’Ucraina, in sostanza per creare un mega-Donbass fedele alla Russia.

Il progetto corrisponde alle reali possibilità dell’azione militare russa: un’invasione lanciata con 150-190mila uomini contro un Paese, l’Ucraina, difeso da un esercito di 200mila uomini appoggiati da una milizia territoriale di 90mila, non poteva certo avere come obiettivo la conquista totale del territorio. L’Ucraina ha ormai perso Mariupol’, che era uno dei caposaldi, ma ha difeso bene Khar’kiv e la regione di Kiev. Le truppe russe si stanno riorganizzando e non a caso in questa specie di minacciosa pausa il ministero della Difesa russo, scottato dalle perdite (pare che il 15% dei soldati russi morti in battaglia sia formato da paracadutisti, ovvero da truppe di élite), ha creato un comando unificato delle operazioni e l’ha affidato al generale Aleksandr Dvornikov, un veterano delle campagne in Siria.

Bisogna fare molta attenzione, però, nel leggere la situazione sul campo. Molti hanno dato per scontato che Vladimir Putin pensasse di arrivare a Kiev in tre giorni e occupare l’Ucraina in due settimane, e da lì hanno tratto le loro conclusioni. Ipotizziamo che fosse proprio così. Ma è ancora assolutamente alla portata di Mosca arrivare a conquistare un 20% del territorio ucraino, e proprio nella parte Est e Sud del Paese dove sono concentrate le maggiori risorse naturali, i più grandi impianti industriali (per esempio l’acciaieria Azovstal’ di Mariupol’, una delle più grandi d’Europa), le maggiori centrali nucleari, i più importanti hub ferroviari, i porti. E se prima di questa guerra l’Ucraina era già uno dei Paesi più poveri d’Europa, possiamo immaginare che cosa sarebbe domani se il Donbass allargato diventasse realtà. Una guerra di annientamento si può condurre non solo sulle persone ma anche sul futuro di un Paese.

C’è attesa pure sul fronte delle sanzioni. L’Europa non conta più su una soluzione diplomatica del conflitto. Il primo ministro austriaco Karl Nehammer è tornato da Mosca carico di pessimismo, e prima di lui Josep Borrell, alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la sicurezza, aveva scolpito la rinuncia alla mediazione dicendo che «questa guerra si risolverà sul campo».

C’è attesa pure sul fronte delle sanzioni. L’Europa non conta più su una soluzione diplomatica del conflitto. Il primo ministro austriaco Karl Nehammer è tornato da Mosca carico di pessimismo, e prima di lui Josep Borrell, alto rappresentante Ue per gli Affari esteri e la sicurezza, aveva scolpito la rinuncia alla mediazione dicendo che «questa guerra si risolverà sul campo». Putin, però, non ha alcuna intenzione di fermarsi, nemmeno di fronte a una coalizione occidentale che di giorno in giorno rafforza la potenza di fuoco dell’Ucraina. Così l’Europa si palleggia tra le mani l’unica arma che non abbia ancora messo in campo, ovvero l’embargo totale sulle importazioni di gas e petrolio russi. Certo, tutti i Paesi cercano fornitori alternativi, l’esempio del recente accordo tra Italia e Algeria è emblematico. Ma non è così facile sostituire 155 miliardi di metri cubi di gas l’anno, quanti ne arrivano in Europa dalla Russia. E soprattutto nessuno sa con precisione quel che potrebbe succedere nei nostri sistemi produttivi se dovessimo di colpo rinunciare a quei rifornimenti. D’altra parte in questo campo le contraddizioni abbondano. Il presidente ucraino Zelensky si è congratulato con la Lituania, che si è resa indipendente dalle forniture russe, e ha chiesto agli altri Paesi Ue di fare altrettanto. Ma la Lituania non arriva a 3 milioni di abitanti. E Zelensky, se vuole, può interrompere i gasdotti russi che passano proprio in Ucraina: perché non lo fa, se rinunciare al gas russo è così semplice? Si aspetta l’offensiva russa e la prossima mossa dell’Europa. Ma si aspetta anche un po’ di verità sui morti di Bucha (Putin insiste, dice che è tutta una messa in scena, e il leader bielorusso Lukashenko addirittura parla di «un’operazione dei servizi segreti inglesi»), di Borodyanka e di altre città martiri dell’Ucraina. Adesso i miliziani del Battaglione Azov, chiusi a Mariupol’, denunciano addirittura l’uso di armi chimiche da parte dei russi, subito appoggiati da Zelensky. E tra i tanti drammi di questa guerra, che sembra riportare Europa e Russia indietro di un secolo, se ne affaccia uno nuovo. Tutti attendono qualcosa, nessuno si attende più l’unica cosa che davvero conterebbe: la fine della guerra.

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