Migranti, l’appalto
alla Libia e le colonie

La rottura diplomatica con la Francia e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte costretto a ricucire lo strappo generato dalle accuse a Parigi di colonialismo, da parte dei suoi due vice, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Ma non dimentichiamo la genesi di questa crisi, aperta dalla morte nel Mediterraneo di 170 migranti sabato scorso e dal salvataggio in extremis di altri 100 domenica, da parte di una nave battente bandiera della Sierra Leone, e riportati in Libia. Di fronte alla nuova strage il governo non ha avuto parole all’altezza della tragedia di solidarietà alle vittime che occorrerebbero in queste circostanze.

È partita invece la caccia al responsabile. «Le ong tornano in mare e i migranti a morire» ha scritto sulla sua pagina Facebook il ministro dell’Interno. Ma Salvini dovrebbe sapere qual è lo stato di fatto: l’unica nave umanitaria operativa nel Mare Nostrum è la Sea Watch 3, che sabato scorso è riuscita a portare in salvo dalla strage 47 persone. Tutte le altre sono ferme, bloccate da provvedimenti giudiziari o amministrativi. Altre sono in disarmo perché nessuno Stato ha concesso loro la bandiera di navigazione.

Il numero dei morti in mare in termini assoluti è diminuito (dai 3.139 del 2017 ai 2.262 del 2018) ma in percentuale rispetto agli sbarchi (crollati dell’80%) è quasi raddoppiato. Abbiamo appaltato alla Libia la gestione del fenomeno migratorio scontandone le turbolenze. Lo scorso fine settimana dalle Capitanerie di porto libiche non è arrivata alcuna risposta alle chiamate di aiuto dalle due imbarcazioni. Per la seconda la risposta è giunta quando il gommone cominciava ormai a imbarcare acqua. La Libia occidentale sta affrontando una nuova fase di crisi, col premier Fayez al-Sarraj sfiduciato dai suoi tre vice: la conseguenza è anche la ripresa dei traffici di esseri umani e il mancato funzionamento delle attività di prevenzione e soccorso, come dimostra il silenzio agli Sos dai gommoni in difficoltà. I sopravvissuti sono stati riportati in Libia, che non è un porto sicuro anche per via delle condizioni di detenzione disumane dei migranti, contravvenendo ancora una volta alle norme del diritto internazionale (ma questo sembra essere ormai un dettaglio formale). La polizia italiana ha condotto l’operazione «Tokhla» (sciacallo in lingua eritrea) che ha permesso di arrestare in Sicilia i referenti di un’organizzazione internazionale criminale che gestisce i traffici di esseri umani, con introiti di miliardi di dollari depositati negli Emirati arabi. I capi dell’organizzazione sono liberi in Libia. Il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro (quello delle inchieste fra i presunti legami ong-scafisti, finite nel nulla) non ha mai chiesto al ministero di Giustizia di avanzare una richiesta di rogatoria internazionale e gli inquirenti di Tripoli non collaborano con l’Italia, che ha versato al governo libico 338 milioni di euro per attrezzarsi a fermare le partenze.

Intanto i 5 Stelle Alessandro Di Battista e Di Maio se la prendono con la Francia. Il motivo è il colonialismo di Parigi che impoverisce l’Africa con il franco Cfa, valuta in due tipologie adottata (ma revocabile) da 14 Paesi africani: li garantisce da turbolenze finanziarie, però avvantaggia il commercio francese e le multinazionali europee nello sfruttamento di materie prime. La critica dei grillini è motivata, anche se dei 24 mila migranti sbarcati in Italia nel 2018 solo 2 mila provenivano da Paesi che adottano il franco Cfa.

Ieri Salvini è andato a ruota dei 5 Stelle con nuove accuse alla Francia sullo sfruttamento del petrolio (peraltro anche l’Italia lo estrae fra l’altro in Libia, Egitto e Nigeria con l’Eni). Intanto, all’ombra delle polemiche, il vero grande colonizzatore dell’Africa è la Cina, con 120 miliardi di dollari d’investimenti, sfruttamento di terre e senza andare per il sottile sulla tutela dei diritti dei lavoratori. Ma Pechino non correrà alle elezioni europee di maggio, quando il presidente francese Emmanuel Macron sarà avversario del fronte sovranista.

© RIPRODUZIONE RISERVATA