Merkel, fine
di un’epoca
I chiaroscuri
con l’Italia

Con l’uscita di scena di Angela Merkel, dopo 16 anni di governo (un solo giorno in meno del record del suo mentore Kohl), l’Italia perde l’alleata indispensabile: la ragazza dell’Est entrata in Parlamento come Cancelliera e che ora se ne va come leader d’Europa. Una stagione in cui è successo di tutto e di più: choc finanziario globale, crisi del debito sovrano, doppia recessione, crisi dei migranti, terrorismo internazionale, Covid.

In questi anni al potere ha interloquito con 8 presidenti del Consiglio italiani e ha avuto a che fare con 10 governi di varia e opposta natura. Un simile andirivieni, per una personalità razionale di formazione scientifica, un metodo applicato alla sua politica, deve aver costretto la «mamma della nazione» ad acquisire un valore aggiunto di conoscenza dei nostri bizantinismi. Ama Ischia, è attratta dall’Italia, ma comprensibilmente le diventa difficile (non è la sola) capire gli psicodrammi italiani. La conseguenza politica - ha scritto il giornalista Paolo Valentino nel recente «L’età di Merkel» edito da Marsilio - è che non le riesce a considerare l’Italia un riferimento strategico dentro l’Unione europea: «La rispetta, naturalmente. Tiene a coinvolgerla ovunque sia possibile. Tiene conto delle sue esigenze e spesso si spende in favore di singole posizioni o necessità italiane. Ma c’è sempre stata una linea d’ombra, tra lei e il Belpaese, che Merkel non ha mai veramente varcato».

È giustificata: guidando il baricentro del continente che ha fatto della stabilità il suo modo d’essere, s’è dovuta misurare con l’instabilità di una Repubblica che ha superato i 65 governi e che ha avuto 29 premier contro gli 8 Cancellieri. Con Berlusconi i rapporti, specie nel passaggio traumatico al governo Monti, sono stati più che complicati. La luna di miele con Renzi s’è tramutata in delusione. Con il primo Conte relazioni tormentate. A conti fatti, tuttavia, Merkel è stato un fattore decisivo di continuità nei rapporti con l’Italia. Draghi alla Bce e le politiche espansive della Banca centrale devono parecchio alla Cancelliera, riuscita a compattare il suo Paese su una linea solidaristica verso gli Stati in difficoltà, moderando le paure dei tedeschi che temono più di tutto il debito e l’inflazione. Campionessa mondiale della risoluzione dei problemi, nel giudizio di Gentiloni, ha chiuso un occhio pure sulle nostre leggi di bilancio. Apparentemente minimalista, eppure capace di azioni sorprendenti e costose in popolarità, rimediando in corso d’opera.

Proprio le drammatiche immagini di Bergamo, le bare sui camion militari, suggerirono a Merkel di correggere le mosse iniziali anti Covid: «La situazione è seria e dovete prenderla sul serio», disse in quel frangente, nel suo primo discorso tv alla nazione. Il suo capolavoro resta il Recovery Fund, di cui è garante anche agli occhi dei rigoristi. Una terapia d’urto innescata dalla pandemia, che ha ribaltato l’immagine di un’Europa prima punitiva e che, appresa la lezione, ha poi cambiato in positivo la percezione della Germania. Il Paese mantiene una sperimentata solidità, pur con qualche cedimento. I due partiti popolari, cristiano-democratici e socialdemocratici, sono ai minimi storici. Per la prima volta l’estrema destra siede al Bundestag, per quanto su input della Cancelliera sia stata istituita una linea rossa invalicabile. Però il compromesso resta virtù politica. L’antiretorica di Merkel s’è imposta come stile di una classe dirigente. Tempo fa un fotografo le fece osservare che indossava ancora la giacchetta di 10 anni prima, e lei replicava: «Sono stata eletta per servire i tedeschi, non per fare la modella». Chapeau.

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