Meloni fissa l’agenda, opposizione in difesa

ITALIA. Se fosse vero quanto sostenevano gli antichi greci, e cioè che «gli dei fanno impazzire coloro che vogliono perdere», dovremmo concludere che Meloni, al contrario, ha qualche santo in paradiso.

Come avrebbe potuto, diversamente, divenire «The must powerful person in Europe» (la persona più potente in Europa, parola del quotidiano statunitense «Politico») una borgatara della Garbatella, una semplice militante del Msi, insomma un «underdog» come si è definita? Può essere una tenace, capace e - lo vogliamo ammettere? - brava politica fin che si vuole, ma non sarebbe mai riuscita ad acquisire la posizione di rilievo che ha conquistato in campo internazionale (ultimo colpo, la tempestiva liberazione dai tagliagole dell’Iran di Cecilia Sala) se non avesse ricevuto un aiutino dal cielo. Campo libero in Europa dopo che i due big della politica del Vecchio continente, Scholz e Macron, sono stati azzoppati. Relazione speciale con Trump, il politico più potente dell’Occidente, e forse del mondo. Uno «spirito del tempo» che spira tutto a destra. La Bce che abbassa il tasso di sconto. Insomma, come non ammettere che la premier è stata agevolata?

L’opposizione fa da sponda alla Meloni

Non fossero bastati i santi in paradiso, a procurarle un aiutino le è venuto in soccorso anche un santo in terra. È l’opposizione che per definizione dovrebbe procurarle guai e che invece le fa da sponda. Preferisce stare «tra color che son sospesi»: sospesa fra la determinazione a combatterla e l’incapacità ad animare un’alternativa. Eppure, quanto a numeri, avrebbe la forza sufficiente per competere alla pari. In politica, però, i voti non si contano solo. Vanno anche pesati. Il repubblicano Spadolini col suo 4% divenne presidente del Consiglio.

Che cosa manca all’opposizione

Cosa manca allora all’opposizione per diventare l’incubo della Meloni? Mancano una proposta e una leadership. Due elementi inscindibili che si concretizzano nella figura del premier. Non è vero che il capo di una coalizione debba, come si insiste a dire, «fare sintesi». Deve invece saper tracciare la linea politica che ponga i suoi partner nella necessità di seguirlo. Meloni si è assunta la responsabilità di scegliere la strada per arrivare alla liberazione di Sala. I suoi vice, Salvini e Tajani, a giochi fatti l’hanno applaudita.

L’opposizione si agita ma non provvede a sciogliere i nodi che l’attanagliano. Si comporta come quelle società di calcio che non concludono mai la campagna acquisti, senza peraltro definire i ruoli in campo che le servono e senza qualcuno che si assuma la responsabilità di definire il modulo tattico da adottare. Quale sia l’importanza della figura del leader lo insegna bene Meloni. Non è lei il valore aggiunto della coalizione di governo?

Gli italiani vogliono conoscere le proposte dell’opposizione

L’opposizione preferisce stare negli spogliatoi a discutere la formazione e, quando si decide finalmente a scendere in campo, non conduce lei il gioco. Si limita a ribattere la palla del governo. Gioca in difesa. Con rabbia, ma senza un piano che la porti in rete. Lascia a Meloni di fissare l’agenda politica tenendo al contempo l’opinione pubblica allo scuro di che cosa farebbe una volta al governo e a quale premier gli italiani dovrebbero affidare la guida del Paese. Ha certo buon gioco a richiamare i guai della sanità, dell’evasione fiscale che brucia sulla pelle dei contribuenti onesti, dell’insicurezza che procura grande ansia nei cittadini, delle paghe inadeguate a reggere il costo della vita. Gli italiani, però, stanno ancora aspettando di conoscere le sue ricette. Sono finiti i tempi in cui si accontentavano di protestare. Vogliono vedere le carte in tavola, quale sia la posta in gioco e chi distribuirà le carte.

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