Meloni in Cina, difficile equilibrio di alleanze

ITALIA. Non una semplice visita, ma uno snodo centrale in questa stagione della politica italiana. Tra Nuova Via della Seta, conflitto in Ucraina e il ruolo degli Usa.

Da domenica 28 a mercoledì 31 luglio. Da Pechino a Shanghai. Con incontri con il premier Li Qiang, il presidente Xi Jinping, il presidente dell’Assemblea del Popolo (ovvero il Parlamento) Zhao Leji e il segretario del Partito comunista di Shanghai Chen Jining. Bastano pochi dati per capire che quella di Giorgia Meloni in Cina non è una visita di prammatica, ma uno snodo centrale in questa stagione della politica italiana. Tutti sanno che cosa c’è alle spalle: l’adesione al progetto della Nuova Via della Seta firmata da Giuseppe Conte nel marzo del 2019, all’epoca del governo M5S-Lega; e la disdetta firmata Meloni nel dicembre dell’anno scorso, per evitare il rinnovo automatico dell’accordo nel marzo del 2024. In mezzo, complice la guerra in Ucraina, il crescente allineamento della diplomazia europea alle strategie degli Usa, che già dai tempi di Barack Obama indicano la Cina come primo avversario nel presente e nel futuro.

Il problema, un po’ per tutti, è che prendere di petto la Cina non è semplice. Joe Biden, l’anno scorso, ha firmato un ordine esecutivo per bloccare qualunque investimento dagli Usa in Cina nei settori avanzati dei semiconduttori, della microelettronica, della tecnologia quantistica e dell’intelligenza artificiale, ma si è ben guardato dal toccare gli investimenti già in atto. Nel solo settore della finanza, 74 grandi operatori americani hanno allocato in Cina e Hong Kong più di 70 miliardi di dollari. Anche l’Italia è ben presente in Cina, con oltre 1.600 aziende e investimenti diretti nel tessile, nella meccanica, nella farmaceutica e nell’energia per più di 15 miliardi.

Quindi, per il governo Meloni come per qualunque altro governo italiano, la questione è sempre quella: non deludere Biden (o chi per lui) e non far troppo arrabbiare Xi Jinping. Va detto che questo è il momento giusto per cercare un nuovo inizio nelle relazioni con Pechino. Da un lato, lo smacco subito nella rielezione della Von der Leyen da Francia e Germania, che hanno tagliato fuori il governo «sovranista» italiano, spinge la Meloni a tenersi qualche margine in più di libertà. Dall’altro, almeno rispetto alla Cina, sia l’uno sia l’altro Paese navigano in acque agitate. La Germania perde costantemente quote di export verso i Paesi non Ue (meno 4,5%) e per la prima volta dopo otto anni nel 2024 la Cina non è più il primo partner commerciale dei tedeschi. Per quanto riguarda la Francia, il suo deficit commerciale con la Cina ha raggiunto i 53,6 miliardi di euro nel 2022, con un notevole incremento rispetto ai 40 del 2021. Con questa visita, dunque, l’Italia della Meloni cerca un giusto equilibrio, che le consenta di difendere posizioni economiche importanti senza compromettersi agli occhi di dell’occidente collettivo a guida Usa di cui con forza ha scelto di far parte. Puntando magari sul desiderio di Xi Jinping di conservare delle sponde nella Ue, perché l’interscambio commerciale con l’Europa vale circa 900 miliardi e perché, in ogni caso, non si può rinunciare a una qualche forma di dialogo.

Italia e Cina possono trovare un terreno comune in una questione terribile che le coinvolge entrambe: la guerra in Ucraina. La Cina, sempre negandolo, è di fatto il maggiore alleato della Russia. L’Italia, in ogni sede possibile, si è impegnata ad aiutare l’Ucraina. L’una e l’altra, però, fanno chiaramente capire di essere disponibili a lavorare per una soluzione negoziata. Le distanze sono ampie, ma non incolmabili, in un momento in cui anche gli ucraini si dicono disposti a trattare e, guarda caso, hanno appena mandato il ministro degli Esteri Kuleba a Pechino. Meloni e Xi Jinping ne parleranno, è certo. Sarà la parte meno «pubblica» dei loro colloqui ma forse la più importante.

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