Mattarella preoccupato
aspettando i mercati

L’Italia ha tre settimane per rispondere alla bocciatura della sua manovra di Bilancio da parte della Commissione europea. Non lo farà. O almeno, così assicurano Di Maio e Salvini, pronti a sfidare Bruxelles e persino ad affrontare il rischio di una procedura di infrazione che scatterebbe qualora Roma non modificasse i suoi obiettivi. I toni dei due vicepremier sono sfidanti, quasi beffardi: Salvini in particolare dice che i commissari ci possono mandare «anche dieci di quelle letterine» ma non per questo il governo cambierà la sua linea. È la rivendicazione di una sovranità nazionale che però non collima con gli impegni e gli obblighi che l’Italia ha liberamente sottoscritto con la Ue firmando i trattati dell’unione fiscale e finanziaria e arrivando a inserire il pareggio di Bilancio nella sua stessa Costituzione.

Certo Salvini non si mette sul piano di quel suo eurodeputato, Ciocca, che è arrivato a sporcare con la scarpa i testi letti da Moscovici in conferenza stampa (un gesto «da fascisti», ha commentato il responsabile del Bilancio europeo), ma nemmeno ne prende le distanze come ci si aspetterebbe dopo che il video di quel gesto plateale ha cominciato a fare il giro del web dando l’idea di un’Italia isolata e messa all’angolo dalle sue stesse politiche.

Se Salvini e Di Maio «tirano dritto», incuranti di critiche e allarmi, il ministro dell’Economia Tria non nasconde le preoccupazioni per le conseguenze sull’economia che lo scontro con l’Europa e con i mercati comporta, a cominciare dal rosso della Borsa soprattutto nel comparto bancario fino alla fuga degli investitori internazionali con la conseguente corsa dello spread. Certo il ministro del Tesoro difende la «sua» manovra e dice che la lettera di Bruxelles è stata scritta «in fretta», ma pure ammette che se non si possono far correre troppi rischi ai risparmiatori e che, se necessario, si correrà ai ripari. Sono le stesse considerazioni del sottosegretario Giorgetti, il braccio destro di Salvini. Entrambi condividono le preoccupazioni crescenti di Mattarella (ormai ogni giorno il Capo dello Stato richiama tutti al senso di responsabilità) verso il quale tuttavia la sparata polemica di Grillo al Circo Massimo, per quanto poi smentita dal M5S, è sembrato quasi il primo colpo di un nuovo assalto al Quirinale.

La speranza di Di Maio e di Salvini è che, a causa della lentezza burocratica di una procedura di infrazione, la situazione con la Ue non precipiti almeno fino a maggio, alle elezioni europee, così da presentarsi agli elettori come i difensori della dignità nazionale contro chi ci vuole padroneggiare, per poi cogliere il risultato di una Europa resa diversa dal voto dei cittadini e molto più consonante con le idee dei sovranisti dei vari Paesi.

C’è solo un particolare che i vicepremier non sembrano tenere in alcun conto: i mercati – come dice Renato Brunetta – non aspettano i tempi della politica, e quando decidono di ammazzarti lo fanno con un colpo solo, senza troppi preavvisi e senza riguardi. È un rischio che Salvini e Di Maio, a differenza - a quanto pare di capire - del premier Conte, ritengono sopportabile: anzi, più vengono avvertiti che stanno portando l’Italia diritta contro un muro, più ripetono che non hanno alcuna intenzione di frenare. Del resto, se frenassero oggi, per loro sarebbe come infliggersi un dolorosissimo colpo di boomerang. A meno non siano costretti ad arrivare frettolosamente a più miti consigli a causa dell’imminente giudizio di Standard and Poor’s sul rating del nostro debito pubblico: se il declassamento e l’outlook fossero più pesanti di quelli già espressi da Moody’s e da Fitch allora sì che sarebbero guai seri.

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