Mattarella da Trump
Scontro e silenzi

La visita di Sergio Mattarella alla Casa Bianca non è catalogabile come un’occasione di routine. Non si è limitata a ribadire i «tradizionali buoni rapporti» tra Italia e Stati Uniti e a propagandare «una collaborazione che non è mai stata tanto intensa» come recitano le formule di rito del cerimoniale da settant’anni a questa parte con qualunque presidente del Consiglio o della Repubblica sbarcato a Washington.

No, gli argomenti sul tavolo di questo incontro del Capo dello Stato con l’imprevedibile Trump questa volta erano tanti, delicati e anzi spinosi, e su di essi la divergenza di opinioni tra i due Paesi è rilevante. Lo si è visto chiaramente nello Studio Ovale durante l’incontro con la stampa di Trump e del presidente italiano quando quelle divergenze sono emerse con chiarezza.

A cominciare dal tema dei dazi che ci penalizza non poco. Mattarella non è stato evasivo quando ha avvertito il suo ospite che la ritorsione americana per gli aiuti europei all’Airbus provocherà una contro-reazione della Ue nel momento in cui gli Usa stabiliranno i finanziamenti per la concorrente Boeing; e che dunque queste ritorsioni reciproche non solo non fanno bene a nessuno, ma finiranno per richiedere una lunga trattativa per giungere ad un accordo, e allora – ha aggiunto – «tanto vale che l’accordo lo si trovi prima, adesso». Trump ha risposto con altrettanta chiarezza ribadendo che gli Stati Uniti continueranno con i dazi contro un’Unione Europea che «avrebbe trattato malissimo» il suo grande alleato transatlantico. Insomma, al netto del formalismo diplomatico, lo scontro è stato evidente, appena attenuato dalla promessa di Trump di prendere in considerazione la richiesta italiana di non subire le pesanti conseguenze dei dazi americani sul suo export agroalimentare (prosciutto, Parmigiano reggiano, vino) a causa di una vicenda, quella dell’Airbus, alla quale si è dichiarata estranea. Appena una promessa, quella di The Donald, condizionata oltretutto a molte altre richieste della Casa Bianca, compresa quella – tradizionale ma in epoca trumpiana più pressante – di aumentare il nostro contributo alla Nato oggi pari all’1%. Anche in questo caso Mattarella non si è fatto tirare per la giacca: «L’Italia è il quinto contributore in finanziamenti e il secondo per dispiegamento di forze e militari» ha ricordato.

Per il resto, Trump è stato chiaramente soddisfatto sul tema degli F35 (che continueremo ad acquistare come Conte ha già garantito nonostante i maldipancia grillini) e sui rapporti con i cinesi di Huawei in materia di 5G che saranno tenuti sotto controllo da Palazzo Chigi (non a caso ai colloqui era presente la nostra ministra al Digitale e all’Innovazione). Quanto agli scenari di crisi del momento, Trump ha mostrato di non voler ascoltare consigli e richieste sulla sua ondivaga linea sul conflitto turco-curdo e nemmeno sulla necessità di un maggiore coinvolgimento degli Usa per la stabilizzazione della Libia.

Mattarella – che poteva portare nel colloquio un ristabilito equilibrio politico in materia di politica estera dell’Italia – si è nettamente tirato fuori da qualunque coinvolgimento nell’opaca e irrituale vicenda dei contatti tra il ministro della Giustizia Usa Barr (alla ricerca di informazioni sul Russiagate) e i capi dei nostri servizi di sicurezza autorizzati da Conte che ne dovrà riferire al Copasir. Il Quirinale non vuole essere coinvolto in faccende del genere e la visita di Mattarella a Washington ne è stata tenuta accuratamente al riparo.

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