L'Editoriale / Bergamo Città
Martedì 06 Ottobre 2020
Mascherine per tutti
ma le regole siano certe
Il nuovo decreto del governo che detta le regole di «convivenza» col Covid ancora non è in vigore. Lo sarà in questi giorni. Eppure, già sentiamo tornare forte il vento del caos dei mesi della scorsa primavera, quando dal Consiglio dei ministri all’assemblea di pianerottolo ogni livello decisionale era buono per cambiare una norma. E possibilmente contraddire il livello precedente. E quindi dalle zone rosse fino ai bisognini dei cani, abbiamo visto di tutto: l’importante era guadagnarsi un titolo in più. Ora, le mascherine torneranno obbligatorie anche all’aperto. Pazienza: con l’abbassarsi della temperatura è un sacrificio più sopportabile. Peccato che stiamo già annotando i primi distinguo. Come quello della Liguria, che dice che lì tutto sommato ne faranno a meno, seppur a fronte di un tasso di positivi tra i più alti d’Italia sulla popolazione sottoposta a tampone. Altri distinguo s’annotano già sugli orari di chiusura dei locali. Con sindaci che intendono contraddire le regioni, che avevano deciso in autonomia, anticipando il decreto del governo. Insomma, le premesse sono buone: lottiamo tutti contro il Covid. Ma le avvisaglie sono pessime: lottiamo tutti, ma rigorosamente in ordine sparso.
Rispetto al caos ordinario dei mesi scorsi, sia chiaro: ancora non abbiamo visto niente. Però diciamo che basta così, perché quando si chiede responsabilità ai cittadini, poi è bene dare il buon esempio e non mandare messaggi sbagliati. C’è un signore negli Stati Uniti che ha fatto finta di non capire per mesi, e nonostante 209.928 vittime (fonte Johns Hopkins University, ieri sera), ha dichiarato di aver capito molte cose sul Covid solo dopo che il termometro della febbre è salito a lui medesimo. Ecco: anche quella di Trump, in fondo, è l’ennesima lezione che dovremmo capire tutti. Il Covid non guarda in faccia a nessuno, è sempre a un centimetro da noi. E l’unica cosa che si può fare per poter convivere col virus senza sprofondare in altri lockdown, che somiglierebbero tanto a un knock out, è fare le cose bene, con responsabilità, senza sgarrare. La riapertura delle scuole pareva l’anticamera dell’inferno, ma i dati diffusi ieri dicono il contrario: dopo circa tre settimane di lezioni (al netto delle urne...) è stato contagiato lo 0,021 degli studenti e lo 0,047 dei professori. Firmeremmo tutti per un trend di questo tipo: significa che in mezzo a mille difficoltà la scuola - e i ragazzi - hanno fatto e stanno facendo le cose bene.
Ecco perché è fondamentale continuare così, a ogni livello. Nei comportamenti dei singoli - mascherina, igiene, distanze - come nell’assunzione delle decisioni: fare le cose bene può essere la chiave per rimanere in una posizione allarmante, certo, ma oggi invidiata da mezza Europa. Certo, bisogna mettere le persone nella condizione di sapere che una regola è tale qui, ma anche a 50 chilometri da qui. Serve che la politica parli una lingua sola, serve evitare che i moduli dell’autocertificazione cambino ogni settimana, e possibilmente da una regione all’altra. Serve tenere in moto il paese con regole certe, che consentano di convivere col Covid senza però soffocare tra decreti, ordinanze, circolari, modulistica.
In tutto questo, ci permettiamo un appunto sul calcio. Dice il ministro della Salute, Roberto Speranza: la priorità non è il calcio, ma la salute. Lapalisse non era nessuno. Però il calcio è la terza industria del Paese, ha un indotto di migliaia di posti di lavoro, che sono stipendi normali, senza troppi zeri. Anche il calcio deve trovare il modo univoco di andare avanti. Che non è lo spettacolo misero cui abbiamo assistito in questi giorni, con l’Asl della Campania che ha fermato il Napoli, ma ha lasciato che la Salernitana, che aveva avuto casi di Covid, andasse a giocare a Verona. Ecco l’esempio pratico: quel che vale qui, non vale 54 chilometri più in là.
Ricapitolando: mascherina al chiuso e all’aperto, mai più senza. Gel, a ettolitri. E distanziati al millimetro, che la lezione non la impariamo dal termometro, ma la sappiamo a memoria da febbraio. Su tutto il resto, però, fate il favore: mettetevi d’accordo.
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