Manovra modesta
Tasse, solo rumori

Le tasse, si sa, si prestano alla polemica politica. In tempi di populismo, la polemica si sostituisce però ai fatti, e scontri addirittura sanguinosi vanno avanti da settimane, senza che vi sia stata l’approvazione formale di qualcosa. Decreto fiscale e manovra camminano per ora sulle uova, in attesa del solito voto di fiducia che spazza via tutto. Spazio solo alla propaganda e alla pessima comunicazione del Governo, che ha lasciato uscire voci in abbondanza, spesso da rimangiare. Il cittadino è giustamente diffidente.

È abituato a pensare che alla fine ci va di mezzo lui, ed è frastornato da due verità apparentemente inconciliabili, con l’opposizione che denuncia «tasse e manette», e il governo che, all’opposto, sventola ben 27 miliardi di tasse tagliate. Il fatto paradossale è che, per ora, entrambe le posizioni sono sostenibili, sia quella catastrofista («tassano anche l’acqua!») che quella consolatoria («non ci sono aumenti»).

È vero infatti che sono attesi nuovi gettiti, ma è parimenti vero che i 27 miliardi sono scomparsi. Per capire meglio bisognerebbe partire da un presupposto banale della politica e cioè che tanto più un governo è debole, tanto più evita di mettere tasse dolorose. Per questo, nonostante il fracasso critico, sia gli aumenti che le diminuzioni non toccano davvero da vicino il normale contribuente.

Il «taglio» maggiore è di 23 miliardi di Iva, ma era solo sulla carta dei conti del Conte 1. Toglierli con il Conte 2 non cambia nulla: l’Iva rimane quella di prima, e dunque commercianti e cittadini non avvertono nessun cambio concreto. Idem per i padroni di casa che pagano la cedolare secca del 10% sugli affitti: doveva crescere e invece rimane invariata. Insomma, si taglia sulle previsioni o sugli annunci, ma le tasche restano piene o vuote come prima.

In concreto, ci sono solo 3 miliardi «nuovi» a cui lo Stato rinuncia per sgonfiare un po’ il cuneo fiscale (differenza tra costo dello stipendio e busta paga), ma dovrebbero manifestarsi nel portafoglio dei lavoratori dipendenti solo da metà 2020. Per gli incapienti, nessun vantaggio.

Sull’altro versante, è vero che il «gettito» (come ha giustamente fatto notare Antonio Misiani, cosa diversa da «nuove tasse») crescerà nel 2020 di 7,5 miliardi, al netto dell’algebra entrate/tagli, ma è poco «palpabile». Circa metà è dovuto all’evasione fiscale da colpire (vedi sterile dibattito sulle carte di credito e velleitario tintinnio di manette, aumentando le pene di due anni) e alla modifica di poste contabili o rivalutazioni di beni immobili, materia per commercialisti in grado di far emergere persino vantaggi per alcune limitate categorie. Poi ci sono le cosiddette «microtasse», che in tutto però sono, o erano, tre: quella sulla plastica, già dimezzata, senza effetti reali sul comune cittadino (a cui anzi viene data una spiegazione ecologica in realtà molto improvvisata), e quella sugli zuccheri nelle bevande (eccola qua la «tassa sull’acqua», con ipocrisie salutiste varie).

Infine, la autolesionistica punizione per le auto aziendali, già ritrattata da Conte guarda caso all’assemblea dell’Aci. I normali consumatori possono temere di pagare qualche centesimo delle tasse sulla plastica e sull’aranciata. Ma, se non sono evasori incalliti, le manette non li riguardano, gli affitti non sono appesantiti e, se sono lavoratori dipendenti, magari a luglio entrerà qualche euro in più in busta paga. Demonizzare o glorificare questa legge di Bilancio è dunque una forzatura come al solito elettoralistica, una danza attorno a ben poco. La verità è che è una manovra modesta, senza anima, che non incide sulla crescita e sui profili strategici del Paese: scuola, ricerca, innovazione, produttività, giovani, ambiente, difesa del suolo. Se hai 23 miliardi da annullare e hai la zavorra di altri 20 miliardi tra quota 100 e reddito di cittadinanza che non sei capace di mandare in soffitta, voli basso. Alla fine, il voto di fiducia recupererà qualche soldo dai tagli ai ministeri (forse) e dalle solite accise, e il taglio vero sarà quello degli interessi sul debito. Solo perché questa volta non abbiamo preso a schiaffi l’Europa e il buon senso.

© RIPRODUZIONE RISERVATA