L'Editoriale
Martedì 15 Ottobre 2019
Manovra anti-Salvini
e qualche bandierina
Come vuole la tradizione, l’avvio effettivo della manovra economica di autunno-inverno – che è poi l’atto più qualificante del governo in carica – avviene solo dopo che si sono trovati in ogni angolino del Tesoro i soldi per le misure più importanti. Soldi che naturalmente possono affluire solo dai contribuenti, siano essi privati o aziende. È una manovra che essenzialmente blocca l’aumento dell’Iva – ma nella versione definitiva si potrebbero rimodulare le aliquote – ancora una volta ricorrendo al maggior deficit concesso dall’Europa. Questa è la misura più importante che da sola si mangia la metà della sua entità complessiva: 16 miliardi su 29. Il resto è suddiviso per varie misure-bandiera. Per esempio la riduzione del peso del cuneo fiscale sulle imprese e i lavoratori: ora il fondo è arrivato a 3 miliardi, che è decisamente poco perché si possa «avvertire» socialmente. Ma anche per finanziare questa cifra si deve ricorrere ai soli noti: i giochi, le sigarette, con in più ora gli imballaggi in plastica (in nome del Green New Deal) e il diesel il cui prezzo si avvicina sempre di più a quello della benzina. Con l’aggiunta di un previsto extragettito proveniente dall’Iva.
Curiosamente però in queste ore la polemica tra alleati del governo giallo-rosso si concentra soprattutto su un provvedimento caratterizzante della coalizione precedente, quella giallo-verde: la cosiddetta Quota 100 pensionistica voluta fortemente dalla Lega. Renzi ha chiesto che sia abolita e i suoi proventi indirizzati ai salari, Di Maio invece si oppone con fermezza forse perché cancellarla potrebbe significare uno smacco al suo operato quando era alleato di Salvini e non di Zingaretti. Il compromesso lo ha proposto il Pd: chiudere l’ultima «finestra» già prevista per chi voglia usufruire dell’opportunità offertagli, e così risparmiare 500 milioni, e con quei soldi rinforzare un po’ il magro Fondo Famiglia che dovrebbe essere incorporato con le misure note come «Bonus Renzi», cioè gli 80 euro.
È chiaro che dalla manovra i partiti vogliono uscire con una bandiera da sventolare soprattutto alle prossime elezioni regionali (subito l’Umbria, poi Emilia Romagna e Calabria). Per tutti vale il mancato aumento dell’Iva, anche se fatto in deficit; per ciascuno la singola misura che sarà riuscito a portare a casa. Per esempio l’abolizione del superticket sanitario che il neo ministro della Sanità, Speranza, esponente della sinistra di LeU, ha chiesto insistentemente e che dovrebbe poter conquistare. Poche speranze invece per il grillino ministro dell’Istruzione Fioramonti che non avrà i 3 miliardi per la scuola e l’università, in mancanza dei quali aveva minacciato le dimissioni («Se non me li danno, me ne vado»).
Conclusione. È la prima volta, da quando esiste la legge finanziaria o di Bilancio, che il documento si caratterizza o per il mancato aumento di una tassa, cioè l’Iva (messo nero su bianco dai precedenti governi come garanzia offerta all’Europa, una specie di «pagherò») o per il mantenimento di una misura già approvata (la Quota 100) da una coalizione di segno diverso. C’è poco altro, in realtà, se si vanno a vedere le cose da vicino penetrando la spessa cortina della comunicazione: qualche misura quasi simbolica, con poche risorse a disposizione. Pesa certamente la difficoltà della finanza pubblica in un periodo di vacche magre e di economia ferma, ma sicuramente influisce l’estrema eterogeneità dei partiti alleati che hanno formato un governo, appunto, per non aumentare l’Iva e soprattutto mettere fuori gioco Salvini.
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