L'Editoriale
Domenica 14 Aprile 2024
Malcostume da arginare dopo anni di promesse
IL COMMENTO. Bari come Torino, Torino come Palermo: da un’azienda dei trasporti pubblici ad una concessionaria autostradale, dai contanti al telepass, dal carrello della spesa alle prestazioni mediche, dalle assunzioni alle promozioni, - diciamola tutta - anche dal rifacimento di abitazioni private a spese del contribuente (Superbonus 110%) ai bonus di disoccupazione (reddito di cittadinanza) anche per chi il lavoro lo scansa: tutto fa brodo alla grande dispensa del mercato elettorale.
Purtroppo, potremmo anche aggiungere: niente di nuovo sul fronte corruzione. Il 2000 come il ’900, il ’900 come l’’800. La «questione morale» in Italia è evergreen: è sempre attuale. Cambiano solo i profili dei protagonisti e le forme della corruzione. Lo spettro del malcostume è sempre stato molto largo: va dal finanziamento illecito (a singoli, leader, candidati, partiti) alla compravendita di voti (nelle forme più varie) fino all’estorsione (tangenti, bustarelle). È un male o, se si preferisce, un vizio della politica. Nel migliore dei casi, è solo un costo, comunque sempre difficile da contenere, impossibile da estinguere.
Solo i moralisti promettono di creare una politica completamente purificata - e magari pure immunizzata - dal malcostume. È un tranello. Fanno di tutta un’erba un fascio. Mettono insieme la compravendita dei voti con lo scambio politico tra consenso e tutela di interessi popolari, l’appoggio alla mafia con la ricerca di consensi territoriali, vera corruzione con cura del collegio elettorale. Fanno la fortuna dell’antipolitica. È il modo migliore perché nulla cambi. Infatti, passa qualche tempo e nella corruzione ci si ricade.
Abbiamo mandato al macero la Prima Repubblica (non priva di meriti storici, a cominciare dall’aver creato dal nulla una democrazia). Ne abbiamo forgiata una Seconda, nuova di zecca (?), finalmente libera dalla malefica partitocrazia e per questo - c’è stato promesso - onesta. S’è contaminata come la Prima. È l’eterno presente del costume politico. L’Italia costruita col sangue dei Mille garibaldini, passato un ventennio, si sporca con le tangenti della Regia dei tabacchi, il solito monopolio statale distributore di favori. Poco dopo i vertici politici sprofondano nello scandalo della Banca romana, agente pagatore di politici e faccendieri. Il grande Giolitti, il politico che contrassegna un’intera stagione della nostra vita democratica, con tutti i meriti che si è guadagnato non è sfuggito alla nomea di essere stato «il ministro della malavita» per i metodi piuttosto spregiudicati con cui attraverso i prefetti si garantiva l’elezione di parlamentari a lui fedeli. Non parliamo del ventennio fascista, dove malversazioni, prebende, facili arricchimenti erano la prassi quotidiana di ras e caporioni. Non avevano bisogno di reperire fondi per farsi eleggere. Almeno di questo costo la dittatura ci ha esentato, abolendo direttamente la competizione elettorale.
Nell’Italia repubblicana sono diventati i partiti i grandi terminali di un flusso di denaro (pubblico e privato), elargito da Stati alleati (Usa) e da Stati nemici (Urss). Nulla è gratis in politica: anche la democrazia ha un costo. Si chiuse allora un occhio - o tutte e due - anche di fronte a casi plateali di compravendita di voti. Lauro consegnava la seconda scarpa a urne aperte. Lo sbaglio è di aver tenuto tutto nascosto, e al buio è facile - meglio, è inevitabile - che la corruzione dilaghi. Come s’è scoperto con Tangentopoli.
Finiti i partiti ideologici, sono venuti i partiti personali. Personali, nel senso spesso letterale del termine. Ognuno per sé, niente per il partito. Ma nessun scandalo, almeno fino a ieri. Adesso torniamo all’invocazione di onestà, onestà, onestà. Ma la invocazione passa, il vizio della corruzione rimane. Non è venuto il tempo di adottare vere misure di controllo, alzare argini capaci di contenere il malcostume?
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