Magistrati, si allarga il solco col Governo

ITALIA. Giorgia Meloni ha fatto cadere il tabù riuscendo laddove persino Silvio Berlusconi aveva fallito: varare la separazione delle carriere dei magistrati.

Il disegno di legge costituzionale approvato dal Consiglio dei ministri (e che avrà un iter lungo e faticoso come prescritto per le riforme della Carta) prevede la norma forse più contrastata dall’Associazione nazionale magistrati. Quando essa sarà approvata, il giovane laureato fresco vincitore di concorso dovrà decidere da subito e una volta sola nella vita se vorrà percorrere la strada del pubblico ministero o quella del magistrato giudicante. La sua carriera sarà regolata non da uno ma da due Consigli superiori (entrambi presieduti dal Capo dello Stato con un vice presidente laico come adesso) e, se sbaglierà, sarà giudicato da una Corte di disciplina composta da personalità estratte a sorte da liste approvate dal Parlamento. E il sorteggio varrà anche per i due Csm: se davvero ci si arriverà, sarà la fine delle correnti, quelle accusate, per esempio da Antonio Di Pietro, di aver minato alla radice la credibilità della magistratura con i loro giochi di potere venuti alla luce con lo scandalo legato al nome dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara.

Insomma, stiamo parlando del sogno che fu di Berlusconi il quale forse avrebbe anche abolito l’obbligatorietà dell’azione penale, che invece rimane. Come rimane l’autonomia della magistratura nonostante il sospetto che la nuova norma sui pm sia la premessa per assoggettarli al potere del ministro della Giustizia e dunque del Governo. Ma questo per ora lo si può solo sospettare. Secondo la premier si tratta di una riforma «epocale e necessaria» fatta contro le «forze della conservazione» che - prevede - ora colpiranno ancora più forte: «Ma noi non abbiamo paura» ha detto concludendo il video auto prodotto con un tono di aperta sfida.

Sfida che l’Anm ha subito raccolto, dal momento che si prepara alla proclamazione di uno sciopero generale della categoria e sicuramente anche a futuri ricorsi alla Corte Costituzionale quando la riforma sarà diventata legge. Secondo il presidente dell’Associazione, Giuseppe Santalucia, la riforma è «la vendetta del Governo contro i giudici». Come dire: poiché noi mettiamo il naso dove voi non vorreste che lo mettessimo, ci punite separando le carriere e minacciando punizioni ma noi - promette - continueremo a fare il nostro mestiere. Un’autentica dichiarazione di guerra che neanche Meloni ha voluto lasciar cadere: «Non ho niente di cui vendicarmi perché non considero i giudici nemici del Governo; mi chiedo invece se non siano loro a considerare nemico il Governo». Un fossato più largo di così non si potrebbe, e forse non si era arrivati a tanto neanche ai tempi delle furibonde battaglie tra il Cavaliere e le famose «toghe rosse». Tanto è vero che Berlusconi - per l’opposizione sia di Gianfranco Fini che di Pier Ferdinando Casini e di un pezzo del suo partito - non riuscì mai a far partire una legge come quella scritta dal Guardasigilli Nordio.

Dobbiamo dunque aspettarci l’esplodere di cannonate da una parte e dall’altra dei campi avversari: le opposizioni si sono subito schierate lungo la trincea scavata dall’Anm. E caso ha voluto che nello stesso giorno in cui il Cdm varava il testo Nordio, al Senato maggioranza e minoranze parlamentari si accapigliavano - alla lettera - sulle prime votazioni sull’altra riforma costituzionale ad altissimo potenziale di scontro: quella del premierato. E proprio ieri è arrivato il primo sì all’abolizione dei senatori a vita (un potere del Quirinale che se ne va) e alla diminuzione del quorum necessario all’elezione del presidente della Repubblica. Bastava prestare un po’ di attenzione, ieri in Aula, per ascoltare nitidamente il brontolio che scendeva dal Colle.

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