L'Editoriale
Giovedì 30 Gennaio 2025
Magistrati e politica, lo sgarbo istituzionale
ITALIA. Le democrazie contemporanee devono (meglio, dovrebbero) configurarsi su un criterio in base al quale forma e sostanza convivano. Magari in misura variabile, ma mai che l’una metta l’altra nell’angolo.
Un caso evidente di scollamento tra forma e sostanza si è avuto domenica scorsa all’inaugurazione dell’Anno giudiziario. In Italia il clima di confronto tra politica e magistratura è, non da oggi, rovente. I partiti di maggioranza stanno battendo la strada evidenziata - già prima delle elezioni politiche - di una riforma costituzionale imperniata sulla separazione delle carriere di pubblico ministero e di magistrato giudicante. Su questo tema l’Ordine nazionale della magistratura ha alzato le barricate, sostenendo che tale soluzione limiterebbe l’autonomia dei magistrati inquirenti, sottoponendoli di fatto al potere politico. Sul tema il dibattito è acceso e le questioni di merito sono tutt’altro che facili da considerare e tutt’altro che semplici da dipanare. I magistrati temono che le modifiche costituzionali finiscano per imbavagliare la magistratura inquirente. Argomento sul quale larga parte dei partiti di opposizione critica l’azione del governo, sostenendo gli argomenti della magistratura. Sulla sponda opposta il ministro Nordio ha ribadito più volte che la riforma da lui prospettata renderebbe più agile l’azione dei componenti dell’ordine giudiziario. Sul tema le possibilità di un’intesa sembrano una pura chimera. Peraltro, essendo poco probabile che la riforma possa avere il consenso dei due terzi del Parlamento, si arriverà alla richiesta di referendum. Chi vivrà vedrà.
L’uscita dall’Aula
In tale scenario la scelta dei magistrati di Milano di uscire dall’aula nella quale si celebrava l’apertura dell’Anno giudiziario - sventolando il testo della Costituzione - è stata del tutto inappropriata, proprio perché ha gravemente incrinato la forma, rispetto alla sostanza del dibattito. Il diritto dell’Ordine dei magistrati di criticare il progetto di riforma voluto dalla destra al governo è indiscutibile. Ma tale critica non deve generare un comportamento lesivo nei riguardi delle istituzioni. Per un verso nei confronti del ministro della Giustizia, ma più ancora nei riguardi del Presidente della Repubblica, il quale - come si sa - è presidente del Consiglio superiore della magistratura. Anche soltanto questo aspetto avrebbe dovuto spingere i magistrati a evitare una sceneggiata dalla quale escono apertamente sconfitti e che si è ritorta sul potere giudiziario. Non aver tenuto conto dell’importanza dell’aspetto formale dell’evento ha creato una falla nel già complesso intrecciarsi dell’incontro-scontro fra potere politico e ordine giudiziario.
Lo screzio istituzionale
Insomma, uno screzio istituzionale che andava assolutamente evitato. Se non altro per non creare un «caso» inedito di confronto, nel quale aleggiava la figura del Capo dello Stato, quale garante degli equilibri istituzionali. Sotto questi aspetti i promotori dell’iniziativa hanno sottovalutato il peso di un comportamento pesantemente contrario alla reputazione stessa dell’Ordine giudiziario, che deve porsi come garante dell’osservazione delle leggi e non dovrebbe lasciarsi andare a «sceneggiate» da spettacolo teatrale. Ovvero - se il fine era proprio la sceneggiata - valutarne appieno le conseguenze. Con un criterio di discernimento delle conseguenze di un atto così simbolicamente inopportuno.
In questo quadro acceso il Presidente Mattarella - con la consueta prudenza (e con il senso della misura che gli è propria) a tutti nota - ha sorvolato sull’accaduto. Come se non fosse accaduto. Ma ciò non toglie che lo sgarbo istituzionale resta e non aiuta la strada verso un’intesa tra potere politico e potere giudiziario, operando semmai per acuire i toni di scontro e slabbrare la sostanza del dibattito istituzionale.
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