Maggioranza Ursula confermata: cosa cambia

IL COMMENTO. Nonostante l’avanzata delle destre radicali, il voto ha confermato la «maggioranza Ursula», la coalizione centrista all’Europarlamento: il fronte europeista (popolari, socialisti, liberali) è ben al di là della soglia minima di 361 seggi su 720. Fatto positivo, l’unico, che tuttavia racconta solo una parte della soluzione.

La sconfitta dell’Europa carolingia, di Francia e Germania, cambia il grande gioco sia delle dinamiche politiche sia dei futuri vertici dell’Ue. Il baricentro comunque si sposta volgendosi all’indietro e il processo d’integrazione non è destinato al rilancio. Tsunami o soltanto onda d’urto che sia, il vento di destra giunge nel momento più insidioso. Dossier dirompenti come la politica di difesa dinanzi all’espansionismo russo, la revisione delle politiche economiche e di quella agricola. Infine la transizione climatica, l’ultimo bersaglio dei sovranisti. Il tutto mentre la stessa legittimità democratica è messa in dubbio dall’affluenza in discesa, scesa sotto la soglia psicologica del 50%: dopo aver recuperato nel 2019, ora è scivolata a ritroso quando lo choc dei debiti sovrani, nel 2014, aveva precipitato il tasso di partecipazione al record negativo del 42%. Piccoli Orban crescono, mentre i nemici della democrazia come Marine Le Pen si rafforzano. Un’aggressività che si alimenta della mancanza di risposte convincenti e all’altezza delle sfide da parte del versante europeista e dei partiti tradizionali.

I numeri parlano di vincitori e vinti, in realtà però un po’ tutti, protagonisti e comprimari, escono indeboliti, e quindi l’Unione stessa. La «maggioranza Ursula», che sarà chiamata alla possibile riconferma della tedesca von der Leyen, riflette le divisioni dell’Europarlamento: sia all’interno della stessa maggioranza sia dentro l’opposizione. Il mezzo terremoto che ha umiliato Macron, travolto Scholz, con i socialdemocratici sorpassati dall’ultradestra tedesca, e il premier belga, ferisce la credibilità nazionale ed europea dei due leader chiamati a guidare il litigioso club comunitario e senza i quali non è possibile imbastire qualsiasi strategia. Quella che è stata definita la «scelta della disperazione» del presidente francese di indire nuove elezioni a fine mese potrebbe portare il governo di Parigi ad essere rappresentato nelle sedi comunitarie dalla destra della Le Pen.

Il campo da gioco sul quale riflettere mostra due destre: quella europeista dei popolari (Ppe) e quella illiberale. L’euroraggruppamento che fu di Kohl e della Merkel ha stravinto in Germania, Polonia, Spagna, Grecia. I socialisti hanno tenuto al ribasso, i verdi sono crollati, i liberali nonostante il tonfo di Macron rimangono la terza forza. I nazionalisti sono stati premiati in Austria, Cipro, Grecia, Paesi Bassi, oltre che in Germania. In definitiva: i sovranisti sono in grado di produrre una pericolosa interdizione pur non avendo i numeri per esprimere un’alternativa, mentre la «coalizione Ursula» non è al riparo dalle imboscate, tanto più che l’ipotetica rielezione di von der Leyen avverrà a scrutinio segreto dell’Europarlamento. I franchi tiratori vanno messi nel conto. Nel sistema di Bruxelles domina la politica delle alleanze più che quella della contrapposizione fra maggioranza e opposizione, mentre i gruppi della destra radicale sono la famiglia più divisa. Non solo sull’essere pro o contro Putin. Li unisce l’ostilità all’immigrazione e la scelta della «preferenza nazionale», che poi va a sbattere contro i reciproci interessi, e poco altro: le piccole patrie confliggono, non si integrano. Se governare ha i suoi costi, Giorgia Meloni ha rappresentato un’eccezione che probabilmente spenderà in chiave interna (premierato) e nelle relazioni con i partner Ue. Il successo della Le Pen e la parabola discendente dell’asse Macron-Scholz le consentono nuovi margini di manovra che andranno pesati con il criterio della responsabilità. L’Italia, intesa come laboratorio avanzato del sovranismo, si trova oggi in una posizione ibrida e tinta di alcune ambiguità. Fin qui la premier ha giocato su due tavoli, quello di capo del governo e di leader degli euroconservatori.

Un po’ di pragmatismo, opposizione, appoggio esterno. Dialogando in amicizia («istituzionale» ha precisato) con Ursula, mediando con Orban, strizzando l’occhio alla Le Pen, fra atlantismo e collaborazione critica con l’Unione. I vertici europei (di fatto il Ppe) hanno tre opzioni: ribadire il «cordone sanitario» verso i sovranisti, aprire in modo controllato a parte dei conservatori (Meloni) o assicurarsi il sostegno dei verdi. Sarà una partita complessa perché chiama in causa i grandi scenari (democrazia, diritti, sicurezza) e i confini entro cui l’europeismo misto al realismo può spingersi senza perdere l’anima, nella consapevolezza che questa volta la battaglia è esistenziale. Si entra in una terra incognita, nel solco di due idee di Europa.

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