L’Università un motore
da tenere acceso

La conferma che l’intervento di recupero dell’ex caserma Montelungo si farà è solo l’ultimo tassello di un progetto di rafforzamento strutturale che l’Università di Bergamo ha perseguito con forza negli ultimi anni. Un disegno che, proprio nelle scorse settimane, si è arricchito anche dell’intesa raggiunta per trasformare la sede dell’Accademia della Guardia di Finanza nel polo giuridico dell’ateneo e per riconvertire due palazzine della Provincia in via Fratelli Calvi da destinare all’attività di front office per studenti e utenti esterni. Vanno poi messi in conto l’acquisizione di alcuni spazi del museo Bernareggi, in via Pignolo, e la prosecuzione dei lavori di restauro del complesso di Sant’Agostino, dove presto tornerà a risplendere anche il chiostro piccolo. A ciò si aggiunga un considerevole aumento degli iscritti (e degli alloggi a loro destinati), un significativo adeguamento e consolidamento dei fondi statali, il raggiungimento di posizioni non marginali all’interno di alcune classifiche qualitative di livello europeo e internazionale, l’avvio del corso in Scienze politiche, un’apertura ancora più marcata al territorio e - per ultimo, ma non meno importante - la grande sensibilità e vicinanza mostrata verso gli studenti fin dai primi giorni della pandemia.

Non c’è dubbio che i risultati ottenuti negli ultimi tempi dalla nostra Università siano di grande importanza, non solo per sé stessa (ormai si colloca tra le meglio attrezzate dello Stivale), ma anche per Bergamo e la sua provincia.

Sotto il profilo urbanistico, ad esempio, la ferma volontà del rettore Remo Morzenti Pellegrini di chiudere due operazioni importanti come quella dell’ex caserma e di via dello Statuto ha permesso di recuperare (d’intesa con il sindaco e l’assessore alla riqualificazione urbana) due porzioni centrali e importanti di città, su cui pendeva un forte rischio di abbandono. Così, invece, si è consentita una significativa opera di rivitalizzazione a beneficio di tutta la comunità. È vero che la struttura che ospita(va) le Fiamme Gialle è in mano ad un solido gruppo privato che avrebbe certo valorizzato l’immobile una volta libero dai cadetti, ma la determinazione del rettore ha consentito di trovare una soluzione non soltanto rapida e indolore, ma anche capace di salvaguardare l’assetto del quartiere, aumentandone nel contempo il prestigio.

L’era Morzenti Pellegrini è però destinata a concludersi tra un paio di mesi, visto che la ventilata proroga del mandato di almeno un anno non è andata in porto, anche se, tutto sommato, non sarebbe stata una cattiva idea, concedendo al rettore di terminare il proprio impegno perfezionando un altro paio di operazioni. Entro la fine di ottobre, infatti, i docenti della nostra università dovranno scegliere il suo successore, non potendo Morzenti Pellegrini puntare ad un secondo mandato consecutivo. La questione non è di poco conto, perché mai come in questo momento - con un’intera provincia proiettata verso un doveroso ma difficile rilancio post pandemico - Bergamo ha bisogno di avere ancora al proprio fianco un ateneo forte, determinato a portare avanti quel ruolo di motore che da qualche anno ormai le università di un certo livello si sono ritagliate a pieno titolo in tutto il mondo.

Come hanno dimostrato molti studi scientifici, la presenza di un’università contribuisce allo sviluppo culturale, economico e sociale del territorio in cui opera. E i risultati sono tanto più significativi quanto l’ateneo è efficiente e il livello di crescita è già alto, come nel caso della Bergamasca, dove non solo è possibile stimolare la nascita di nuove idee e opportunità, ma anche sperimentarle sul campo. Dal punto di vista teorico, le università possono accrescere il progresso economico in diversi modi. Tra questi, c’è quello di migliorare il livello del capitale umano sul territorio, attraendo prima studenti capaci e laureando poi giovani altamente qualificati da immettere nelle imprese. L’attività di ricerca scientifica sollecita inoltre l’innovazione nelle aziende, portando con sé una maggior espansione produttiva. Perseguendo infine la «Terza missione» (l’insieme delle attività con le quali gli atenei interagiscono direttamente con la società e il proprio territorio di riferimento, funzione che si aggiunge alla ricerca e all’insegnamento), la creazione di nuove professionalità, basate sulle tecnologie nate dalla ricerca universitaria, si trasforma in un decisivo motore dello sviluppo economico. E lo stesso vale, opportunamente declinato, per quel che riguarda la cultura e la società nel suo complesso, welfare compreso.

Stando così le cose, Bergamo non può dunque prescindere dal continuare ad avere un’università forte, e, di conseguenza, l’università non può prescindere dal continuare ad avere una guida capace di una visione di lungo periodo e di migliorare costantemente il livello delle conoscenze, umanistiche e scientifiche, da mettere a disposizione per rafforzare il benessere complessivo della nostra provincia. Il nuovo «magnifico» sarà dunque chiamato a incrementare ulteriormente la qualità dell’offerta formativa, rendendo attrattiva l’Università anche a un maggior numero di docenti «illuminati», capaci di fare la differenza. Percorso non facile, ma nemmeno impossibile, visto che Morzenti Pellegrini ha già messo in sicurezza altri elementi decisivi, quali il numero di studenti, la qualità delle strutture e l’adeguatezza delle risorse. Soprattutto nelle facoltà umanistiche, andrà sensibilmente ridotto lo squilibrio attuale tra numero di docenti e numero di studenti: talvolta un rapporto di 800/1.000 studenti per professore rende impossibile un’attività didattica e di ricerca degne di questo nome. Così come uno sforzo significativo andrà fatto sul versante amministrativo, da qualificare ulteriormente per alleggerire la burocrazia di cui oggi si devono occupare i docenti, con ovvie ricadute sulla qualità dell’insegnamento.

Una bella università come la nostra, con un’Aula Magna che il mondo ci invidia (non ce ne sono molte sapientemente adattate in una chiesa del Trecento riccamente affrescata), non può che continuare a coltivare il «bello dell’insegnamento», e il «bello dell’insegnamento» lo fanno i docenti migliori. Portiamoli a Bergamo, la sfida della ripresa passa anche da qui.

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