L’Ucraina si consuma questo è il problema

MONDO. Armi quante se ne vuole. Quattrini anche, perché ci sono i 300 miliardi di dollari di beni russi sequestrati in Europa (la maggior parte) e negli Usa a produrre corposi interessi.

Ma l’ingresso nella Nato, che l’Ucraina insegue da un decennio, e con particolare e comprensibile intensità da quando la minaccia russa è diventata guerra aperta, quello no. Come ha detto ieri Jens Stoltenberg, il segretario generale della Nato in procinto di passare la carica a Mark Rutte, dal 2010 al 2024 primo ministro dell’Olanda: «Tutti i Paesi sono favorevoli all’adesione dell’Ucraina, ma è presto per stabilire i tempi». Ritenta, sarai più fortunato.

Le ragioni di questo atteggiamento sono molteplici. Qualche divisione interna alla Nato, di cui le scorribande internazionali di Viktor Orban sono state un segnale preciso. Un po’ di prudenza nei confronti della Russia, che sul tema «avanzata della Nato in Ucraina» è arrivata a scatenare una guerra. E anche un contesto internazionale che non pare favorevolissimo, se è vero per esempio che l’Arabia Saudita ha minacciato di liquidare i suoi investimenti in buoni del Tesoro dei Paesi del G7 (e pare che Francia e Italia siano in prima linea) se i beni russi congelati in Europa (siamo intorno ai 260 miliardi di dollari) saranno sequestrati e girati all’Ucraina. E poi c’è sempre il famoso articolo 5 del Trattato dell’Alleanza Atlantica, che imporrebbe a tutti gli Stati membri di intervenire militarmente in soccorso di un Paese membro eventualmente aggredito. E la guerra, non è una gran scoperta, non piace a nessuno. Men che meno ai cittadini-elettori, che negli Usa devono confrontarsi con un presidente in carica che promette di assistere l’Ucraina ma è in crisi di credibilità e un candidato presidente che promette di chiudere la guerra in ventiquattr’ore, probabilmente andando incontro a Putin e sacrificando l’Ucraina.

La questione è complicata, inutile nasconderlo. E le risposte facili sono quasi sicuramente illusorie. Però è anche inutile nascondere che nell’atteggiamento dell’Occidente, di cui la Nato è (in mancanza di un esercito europeo) l’unico vero braccio armato, c’è un tasso di cinismo in rapida crescita. Che sia inevitabile o no, poco importa. Il fatto è che la strategia scelta due anni fa, e sempre più implementata, scarica sugli ucraini tutto l’onere del sacrificio, essendo piuttosto evidente che spedire un cannone non è la stessa cosa che mandare qualche centinaio di giovani a sparare e farsi sparare al fronte. I Paesi della Nato alzano la posta sugli armamenti: in Ucraina stanno arrivando gli F16, in Germania verranno installati sistemi missilistici capaci di colpire a lunga distanza, la Polonia ha deciso di abbattere i missili russi in volo verso le città ucraine.

Ma il problema non è produrre e fornire armi. Il problema è la consunzione dell’Ucraina, che ha cominciato questa guerra con 44 milioni di abitanti e si ritrova ora con 28, mentre la guerra russa contro il sistema energetico rende sempre più probabile un nuovo esodo di ucraini verso l’estero non appena i freddi dell’inverno cominceranno a mordere case e scuole sempre più difficili da riscaldare.

Rinviare sine die l’adesione dell’Ucraina alla Nato e intanto rendere sempre più micidiale il conflitto, con una Russia che ha mostrato una resilienza inaspettata e, invece di perdere, guadagna sostegni (è alle viste un accordo di largo profilo con l’Iran), vuol dire prolungare a tempo indefinito il conflitto in corso. E in queste condizioni, con una guerra diventata di logoramento, a rischiare di più è l’Ucraina che si vorrebbe proteggere. Da questo punto di vista ha ragione Zelensky quando dice: avete investito così tanto per l’Afghanistan, non potreste fare uno sforzo in più per l’Ucraina.

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