L’Ucraina senza luce, metafora dell’abisso

MONDO. È il più grande attacco alle infrastrutture energetiche ucraine compiuto da tempo dal Cremlino, messo a segno nella notte fra giovedì e ieri con il lancio di 88 missili e 63 droni esplosivi: nel mirino anche la diga vicina alla centrale nucleare di Zaporizhzhia, bersagliata otto volte con l’effetto di lasciare oltre un milione di persone senza corrente.

Secondo il diritto umanitario internazionale, che vale a Gaza come altrove, colpire deliberatamente obiettivi civili è un crimine di guerra. Ogni notte da due anni le forze russe bombardano abitazioni in città e villaggi privi di target militari e lontani del fronte, provocando in media 42 vittime al giorno, fra morti o feriti gravi. Nell’autunno 2022 la campagna di raid su centrali elettriche lasciò al gelo e al freddo 10 milioni di ucraini. Un’altra diga venne bombardata il 6 giugno 2023, a Kakhovka, nell’Ucraina meridionale, con un bilancio tragico: decine di dispersi, l’evacuazione di oltre 20mila persone da centinaia di villaggi allagati. L’acqua del grande impianto veniva utilizzata per l’agricoltura e per le necessità quotidiane di 700mila persone. Il crollo favorì l’ingresso nel fiume Dnipro di enormi quantità di combustibile: fu anche un «ecocidio».

Un’organizzazione non governativa ucraina ha raccolto 83mila denunce da parte di civili di crimini di guerra: dopo un’istruttoria di verifica, verranno inoltrate al Tribunale penale internazionale dell’Onu, che ha già incriminato Vladimir Putin per trasferimento forzato di bambini (19mila) e di adulti (300mila) dalle aree ucraine occupate alla Federazione Russa. Non sono «fake news» ma fatti accertati. Ormai non fa più notizia l’abisso, lo stillicidio quotidiano di bombardamenti ai quali è sottoposto il popolo martoriato. L’attenzione è spostata sui rischi di una Terza guerra mondiale. Una preoccupazione giusta.

Ma la minaccia da parte di Putin di ricorrere all’arma atomica se verrà intralciato il suo disegno di conquista imperiale è più rivolta alle opinioni pubbliche occidentali, per sottrarre sostegno alla causa di Kiev: e i sondaggi gli danno ragione. Anche il prospettato invio di personale dei Paesi Nato a sostegno della lotta contro l’occupazione russa, lanciato, senza peraltro alcun seguito, dal presidente francese Emmanuel Macron, è in realtà un messaggio al Cremlino che teme l’Alleanza atlantica, avendo portato la guerra in due ex Repubbliche sovietiche che non ne fanno parte, in Georgia nel 2008 e in Ucraina nel 2014 con l’annessione illegale della Crimea. Il 10° anniversario della presa della penisola è stato festeggiato nella Piazza Rossa contestualmente alla recente quinta rielezione di Putin. Occasione per celebrare anche l’annessione illegale del 20% di Ucraina occupata, una porzione di territorio che ingloba, oltre a Crimea e Donbas, gli Oblast di Kherson e Zaporizhzhia, aree dove però si continua a combattere.

Le condizioni per un auspicabile negoziato sono ancora lontane. Da inizio 2023 la Russia ha conquistato solo lo 0,2% in più del territorio invaso. I timori di una disfatta ucraina riguardano l’estate, se dovesse frenare il sostegno militare occidentale. Il popolo martoriato è terrorizzato di finire sotto occupazione russa: dove è già successo, come rileva il recente rapporto della Missione di monitoraggio dell’Onu per i diritti umani in Ucraina, sono documentate carcerazioni arbitrarie e diffuse in «centri di rieducazione», torture e sparizioni. È la deucranizzazione, o russificazione: avviene anche trasferendo in quei territori cittadini delle Repubbliche asiatiche dell’ex Urss, più volte dichiarata da Putin quando dice che «l’Ucraina è un non Stato, parte della Russia». Un vecchio pallino del nazionalismo etnocentrico moscovita.

Servirebbe una conferenza internazionale fra le potenze per porre fine ai due grandi conflitti destabilizzanti, nell’Europa orientale e nel Vicino oriente. Per guardarsi in faccia e rispondere con onestà alla domanda di quale mondo è desiderabile.

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