L’Ucraina martoriata, le città sotto terra

MONDO. Non c’è luogo dell’Ucraina che possa dirsi sicuro. In due anni e mezzo di campagna di terrore, sul territorio grande due volte la Francia l’esercito russo ha scagliato 5mila missili e 10mila droni esplosivi, buona parte su edifici civili in città e villaggi lontani dal fronte.

Non c’è giorno che non registri un attacco dai cieli. Ieri è stata colpita la città di Poltava: in una scuola militare e in un ospedale sono state uccise 51 persone, 235 i feriti. Nei giorni scorsi a Kharkiv i raid hanno raggiunto un condominio, un centro commerciale e un impianto sportivo, provocando almeno 12 morti. Secondo un dossier di organizzazioni non governative locali e internazionali, ogni giorno i bombardamenti russi cagionano in media 48 vittime, fra chi perde la vita e chi subisce gravi ferite. Proprio a Kharkiv, una delle città più martoriate, è stata realizzata una scuola sotterranea per riparare gli alunni dagli attacchi e altre sette sono in programma, aule sono state ricavate pure nelle stazioni della metropolitana. Il sindaco Igor Terehov ha presentato un progetto per realizzare, con il sostegno di investitori anche stranieri, una cittadella sotterranea che ospiterà istituti scolastici, parcheggi, cliniche, uffici e zone commerciali. In altre città e villaggi si stanno mettendo in cantiere opere analoghe.

Nel dibattito pubblico l’onere dei negoziati e del disarmo viene scaricato spesso sull’Ucraina. A proposito dell’invio di armi non si dice che Kiev ha ricevuto il 60% di quanto richiesto per difendersi dalla brutale aggressione. Il Paese martoriato necessiterebbe di 25 sistemi di difesa anti aerea per proteggere il territorio dai bombardamenti ma ne ha a disposizione solo sette. Aveva chiesto a Israele la potente cupola difensiva «Iron dome» ma già due anni fa il governo Netanyahu rifiutò l’aiuto per non irritare Vladimir Putin che resta pur sempre un alleato importante per governare i rapporti tumultuosi con l’Iran. Mosca gode di un’evidente superiorità militare, sia in termini di armi che di personale e due mesi fa, in virtù di questo vantaggio, lo zar si fece beffe degli aggrediti dicendo «non vedo perché dovremmo negoziare solo perché l’Ucraina finisce le munizioni».

Nella logica di forza russa l’obiettivo resta sempre la sottomissione dello Stato confinante, al quale si chiede resa, cessione di territori e disarmo. La campagna missilistica è letteralmente criminale: colpire deliberatamente edifici civili come case, ospedali e scuole è una grave violazione del diritto internazionale, che accada in Ucraina o nella Striscia di Gaza. Così come è un crimine di guerra distruggere centrali elettriche: è avvenuto a ripetizione anche nelle scorse settimane e l’Ucraina ha perso il 60% di capacità di produzione di energia. Senza elettricità non c’è luce, l’acqua non può essere pompata nelle abitazioni e servizi essenziali come quelli ospedalieri funzionano a fatica. L’Alto commissariato Onu per i rifugiati ha calcolato che in vista dell’inverno un milione di ucraini potrebbero lasciare il Paese aggiungendosi ai sette milioni già espatriati.

Come è possibile chiedere a uno Stato impegnato nella sopravvivenza di avviare un negoziato mentre ha la pistola puntata alla testa? Non andrebbe intimato a Mosca di cessare prima l’aggressione? Ma i Paesi alleati della Russia tacciono, a cominciare dalla Cina che avrebbe il potere per convincere il Cremlino a fermarsi. Pechino invece ha interesse che il conflitto duri per tenere impegnato l’impero americano, concorrente economico e militare. Ieri Putin era in visita ufficiale in Mongolia, Stato che riconosce la giurisdizione della Corte penale internazionale, la stessa che ha emesso un mandato di cattura contro lo zar per il trasferimento a forza di 19mila minori ucraini in Russia. Ma non è successo nulla. Sulla pelle del popolo aggredito si stanno giocando interessi geopolitici ed economici pesanti, in una partita per ridefinire gli equilibri del mondo. E agli ucraini non resta che nascondersi sotto terra.

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