L’onestà in politica prerequisito essenziale

ITALIA. Le recenti vicende giudiziarie che hanno riguardato esponenti politici di primo piano come è il caso del presidente della Liguria Giovanni Toti, del ministro del Turismo Daniela Santanchè, del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro e di un suo assessore in particolare, hanno ancora una volta posto all’attenzione dell’opinione pubblica il tema dell’integrità morale quale prerequisito essenziale dell’azione politica, ancor prima della dovuta osservanza delle leggi.

Queste vicende, e tante altre più o meno recenti, evidenziano come a essere maggiormente coinvolti in procedimenti giudiziari per corruzione o abusi di ogni genere siano in prevalenza gli esponenti di quelle formazioni politiche che a livello centrale o periferico hanno maggiori responsabilità di governo. Nelle compagini di opposizione o di recente costituzione, il tasso d’idealismo e di onestà è maggiore perché minore è la contaminazione con il comando. Ma quando le sirene del potere si fanno sentire, il tasso di virtuosismo comincia a scemare.

Il primo a porre in modo esplicito la questione dell’onestà in politica fu il leader storico del socialismo italiano Pietro Nenni: «Di solito, la presenza martellante della purezza sfocia nel paradosso più beffardo che un politico possa patire: incontrare per strada uno più puro che lo epuri». D’altro canto, Indro Montanelli quando veniva incalzato sul tema riferiva spesso una massima del pensatore francese Ernest Renan: «Conosco molti furfanti che non fanno i moralisti, ma non conosco nessun moralista che non sia un furfante». L’intera nostra esperienza politica, fin dall’unità d’Italia, ci racconta di esponenti politici di primissimo piano, i cui comportamenti complessivi mettono in luce non pochi chiaroscuri in merito ai quali gli storici continuano a interrogarsi. Camillo Benso conte di Cavour, al quale si deve l’unità d’Italia, fece scavare il grande canale che porta il suo nome, con il quale si preoccupò d’irrigare anche molte delle terre che gli appartenevano. Si racconta che Garibaldi procurò al figlio lauti finanziamenti da parte del Banco di Napoli, che non furono restituiti. Giovanni Giolitti fu costretto alle dimissioni a seguito dello scandalo della Banca Romana, che rivelò i tanti intrecci tra finanza e politica. Va però anche sottolineato come Giolitti, che fu un grande riformista, avrebbe tenuto il Paese fuori dalla Prima guerra mondiale, a differenza dell’onesto Antonio Salandra, che non ne fu capace. Per non parlare del Ventennio fascista costellato da nefandezze e da scandali di ogni tipo commessi da dirigenti e alti funzionari.

Soltanto nel primo decennio successivo alla Seconda guerra mondiale si è imposta una classe politica che, in ogni schieramento, ha dimostrato di saper coniugare onestà e visione. Già nel 1977, tuttavia, Enrico Berlinguer allora segretario del Partito Comunista fece della questione morale «la questione politica prima ed essenziale», indicando che solo dalla sua soluzione sarebbe dipesa «la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del Paese e la tenuta del regime democratico». Le vicende di Tangentopoli all’inizio degli anni ’90 hanno riproposto in termini drammatici la questione morale, sconvolgendo gli equilibri politici e segnando di fatto la fine dei grandi partiti della Prima repubblica. Tuttavia, negli anni successivi hanno continuato a manifestarsi casi di corruzione diffusa che hanno posto in evidenza un vero e proprio predominio dell’economia, della finanza e degli affari sulla politica. In tutte queste occasioni è stata da più parti riproposta l’esigenza di porre l’onestà quale requisito principale per un’efficace azione politica.

Sarebbe allora quanto mai opportuno meditare seriamente su ciò che ebbe a dire, riguardo a questo tema, Benedetto Croce: «Quando uno sta male l’ultima cosa che fa è chiedere un medico onesto: quel che cerca innanzitutto è un medico bravo». E invitava a giudicare «l’onestà politica esclusivamente in termini di capacità politica». Questo, secondo il filosofo di Pescasseroli, non voleva dire che si dovesse tollerare, giustificare e consentire i furti ai danni del bene pubblico, ma che si dovesse imparare anche a temere l’inettitudine, l’ignoranza e la stupidità come mali assai peggiori.

© RIPRODUZIONE RISERVATA