L'Editoriale / Bergamo Città
Venerdì 12 Luglio 2019
L’ombra di Putin
Il sollievo del M5S
Le rivelazioni di «Buzzfeed» sui presunti finanziamenti russi alla Lega attraverso la vendita di petrolio piombano come un meteorite sul partito di Matteo Salvini proprio nel momento in cui i sondaggi lo accreditano di almeno il 40 per cento dei voti – se oggi si andasse alle urne – che, unito all’8% di Giorgia Meloni, porterebbe i «sovranisti» a governare l’Italia da soli mettendo tutti gli altri all’opposizione. Salvini viene colpito da una rivelazione mediatica che certo non emerge innocentemente, come mai accade in queste vicende internazionali, e che già si è trasformata in una iniziativa giudiziaria da parte della Procura di Milano (che vuol vedere «se ci siano stati reati» in una compravendita di petrolio che non sarebbe avvenuta secondo l’interessato italiano, cioè l’Eni).
Parallelamente alla Procura milanese si muove il Pd che chiede l’istituzione di una commissione di inchiesta sui presunti fondi russi alla Lega. E qui viene il momento dei 5Stelle, indispensabili per chiudere il cerchio: per istituire una commissione di inchiesta infatti serve una maggioranza parlamentare che si potrebbe formare solo se i grillini si unissero ai democratici. Lo faranno? Forse sì o forse no. Non è chiaro. Sarebbero disponibili qualora la commissione si occupasse dei finanziamenti di tutti i partiti, Pd compreso, e con l’esclusione del solo M5S che dichiara di non aver mai preso soldi da alcuno. Bisognerà aspettare qualche ora per capire se questa melina pentastellata si risolverà in una decisione. Magari in un segnale di dialogo a Zingaretti, chissà. Per il momento Di Maio ha ordinato di non tirare la corda con Salvini, e che l’unica reazione ai problemi dei leghisti sia la sottolineatura della distanza «morale» tra i grillini e tutti gli altri. Oltre la richiesta di trasparenza, al momento non si va.
Del resto i grillini tutto vogliono tranne che cada il governo e crolli il sistema di potere che hanno costruito in quest’anno di nomine governative. E tuttavia Di Maio vede avvicinarsi la data del 20 luglio, oltre la quale non si potrà più provocare lo scioglimento anticipato delle Camere prima che si entri nella sessione autunnale di Bilancio, e piano piano si rinfranca.
È Salvini che non ha voluto far saltare il tavolo, nonostante le pressioni dei suoi, dopo il voto europeo; è Salvini che ha ripetuto anche dopo le elezioni europee che «il governo va avanti», ma è sempre Salvini che può essere indebolito nel momento in cui la Lega non potrà più agitare lo spettro di elezioni che dimezzerebbero i voti di Di Maio. E questo forse spiega il «no» ripetuto del M5S al progetto di autonomia regionale che anche ieri ha subito l’ennesimo stop: Salvini e Giorgetti hanno reagito molto male all’atteggiamento degli «alleati» e anche del premier Conte che gli è sembrato un mediatore un po’ di parte. Ma la loro arrabbiatura non ha prodotto granché, non ha portato i grillini a più miti consigli.
Di Maio ha passato gli ultimi giorni a rilasciare interviste ai quotidiani del Sud con le quali rassicurava l’elettorato meridionale che non sarà mai consentita la «secessione dei ricchi». Come si vede un atteggiamento fermo, al limite della spavalderia dopo settimane in cui abbiamo visto il ministro dello Sviluppo economico accodarsi al suo collega ministro dell’Interno sulla questione delle Ong e dei migranti. Ora Salvini deve soprattutto togliersi di dosso l’accusa di ricevere finanziamenti da Putin, sapendo benissimo che questo è solo il primo atto di un lunga guerra fredda contro il più forte partito sovranista nell’Unione europea.
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