Lo stallo europeo nel momento peggiore

UE. La frattura rivela la distanza tra la forza personale e la scaltrezza negoziale della presidente e la fragilità della sua coalizione.

Un po’ era nell’aria, in ogni caso se reso concreto quello di mercoledì 13 novembre è un colpo di scena: la fiducia con i popolari (Ppe) s’è rotta completamente, non c’è più, quindi Raffaele Fitto non avrà i voti dei socialisti all’Europarlamento. Così affermano fonti degli eurosocialisti, seconda formazione per numero di seggi all’assemblea di Strasburgo: la questione non riguarda l’Italia o il suo rappresentante meloniano, si dice nel testo, ma un problema con l’estrema destra. Il gruppo di cui fa parte il Pd si ritiene vincolato agli alleati della maggioranza di Ursula von der Leyen (con popolari e liberali) solo nei confronti degli altri cinque vice presidenti. Il destino del ministro italiano, candidato alla vice presidenza esecutiva con la responsabilità delle Politiche di coesione e promosso per la sua ineccepibile audizione di martedì, appare segnato, a meno che si trovi una maggioranza alternativa che tuttavia potrebbe essere imbarazzante e aggiungere fratture. Resta da vedere se la decisione dei socialisti sia senza appello, come il tono lascia intendere, o se sia un estremo tentativo tattico per alzare il prezzo e riequilibrare i rapporti di forza con i popolari che, essendo il partito che conta e quello della presidente della Commissione, ha il pallino in mano.

La partita, dunque, riguarda Ppe e socialisti. Le trattative nelle ultime settimane hanno avuto alti e bassi, dando l’impressione di essersi irrigidite con la vittoria di Trump, il convitato di pietra. Poi si è arrivati allo stallo, con Ursula che fino a ieri pomeriggio non è riuscita a trovare un punto d’incontro fra i reciproci sgambetti, rinviando l’appuntamento a lunedì 18 novembre. La logica, fin qui, era quella del pacchetto, cioè la decisione su tutti i vice presidenti per evitare l’effetto domino che poi si riverbera sull’intera compagine. I sei nomi legati l’un con l’altro. O passano tutti, o passa nessuno, quindi si è capitalizzato l’effetto convenienza: chi rompe lo schema perde a sua volta per la controreazione degli altri partiti.

Fuochi incrociati

L’assunto era: a chi giovano i veti incrociati? Ora, però, la scelta dei socialisti cambia il campo da gioco: Fitto resta fuori dall’intesa, si procede con gli altri cinque. L’impressione è che le questioni di merito per valutare i singoli candidati viaggino in autonomia dall’appartenenza politica: parliamo di Europa, tuttavia risultano evidenti le interferenze nazionali, a doppio circuito con le stesse divergenze all’interno dei singoli partiti. Comprese le dissonanze nelle famiglie politiche: socialisti spagnoli e francesi non la pensavano alla stessa maniera su Fitto e anche i dem italiani hanno variato su tonalità differenti. Proviamo a vedere qualche fatto. Fitto è nel mirino dei socialisti, la socialista spagnola Teresa Ribera, ministra per la Transizione ambientale e candidata a essere la numero due della Commissione europea, è sotto pressione dei popolari per l’alluvione di Valencia. Domenica si vota in Emilia Romagna, fra «camicie nere» e «zecche rosse», e difficilmente il Pd, alla vigilia delle elezioni, può esporsi nel via libera a un candidato della destra di Meloni. Nel frattempo il governo italiano ha ingaggiato un contenzioso con la magistratura sui migranti da dirottare in Albania, ricevendo una pesante e maldestra invasione di campo contro le toghe da parte di Elon Musk, personaggio ritenuto l’interlocutore-ponte della premier presso la nuova Amministrazione americana.

Le difficoltà nel periodo peggiore

Lo stallo, o la frattura, sulla formazione del secondo esecutivo di Ursula, paradossalmente rivela la distanza tra la forza personale e la scaltrezza negoziale della presidente e la fragilità della sua coalizione. Nel periodo peggiore: Trump alle porte, la crisi economica e politica della Germania con le elezioni anticipate a febbraio e l’incalzare dell’estrema destra, le incognite della Francia di Macron in fase crepuscolare. Il punto di caduta, se effettivamente si delinea una crisi di sfiducia fra popolari e socialisti che fin qui hanno retto il governo dell’Europa, potrebbe essere dirompente. L’assetto politico appare estremamente vulnerabile ed è quello della politica dei due forni adottata dalla presidente della Commissione, un po’ perché esprime lo scivolamento a destra del suo partito, il Ppe, e un po’ perché può esserle necessario aggregare dall’esterno i conservatori per il soccorso su temi controversi come l’immigrazione e le politiche ambientali. Definire il perimetro politico della Commissione, se estenderlo o meno in maniera inedita ai conservatori di Giorgia Meloni e quindi modificarne la natura anche ai fini dell’europeismo storico, rischia di diventare il crocevia di cortocircuiti, di vecchie ruggini e di ambiguità irrisolte. Una partita da seguire con scrupolo critico.

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