L'Editoriale / Bergamo Città
Domenica 31 Marzo 2019
Lo Ius soli l’identità
dei giovani in gioco
La maggioranza degli italiani secondo un sondaggio di Ipsos è favorevole a concedere lo ius soli (la cittadinanza per nascita nel nostro Paese) a chi ha meriti speciali, come Rami, il ragazzino figlio d’egiziani che con la sua richiesta di soccorso ha salvato se stesso e i 50 compagni dal bus preso in ostaggio da un italo-senegalese e incendiato. La cittadinanza medaglia quindi, raggiunta in seguito a un atto eroico e non come la presa d’atto di una condizione sociale e culturale. Lo stesso sondaggio dice che il 45% degli italiani è a favore dello ius soli, senza condizioni eccezionali.
Una minoranza ma corposa. Resta il dato che la maggioranza è contraria, come lo sono i partiti di governo, la Lega in particolare. È un’ostilità difficilmente comprensibile perché la cittadinanza concede una serie di vantaggi (il diritto di voto e in generale tutte la agevolazioni di cui godono gli italiani) ma soprattutto è uno strumento per favorire l’integrazione, il senso di appartenenza ad una comunità. Il rito di concessione prevede il giuramento sulla Costituzione italiana, a sottolineare il legame tra la nuova condizione e la nostra legge principale.
Oggi i giovani immigrati per ottenere la cittadinanza devono aver compiuto 18 anni e aver risieduto in Italia legalmente e senza interruzioni dalla nascita. Anche per gli adulti, l’ottenimento del nuovo status è lungo, con tempi di attesa che arrivano fino a 4 anni dalla consegna della documentazione richiesta. Il governo Conte, invece di operare affinché questo termine venisse accorciato, attraverso il decreto sicurezza lo ha addirittura messo nero su bianco prevedendo che il termine massimo per la conclusione dei procedimenti di cittadinanza sia appunto di 4 anni (era di due) dalla presentazione della domanda.
È da circa tredici anni che in Parlamento si discute di una riforma in materia. L’obiettivo era modificare l’attuale legge, la numero 91 del 5 febbraio 1992, che prevede lo ius sanguinis: la cittadinanza italiana viene trasmessa solo dai genitori ai figli. La proposta del Pd per lo ius soli introduceva due modalità. Rispetto allo ius soli classico, che attribuisce la cittadinanza di un Paese a chiunque nasca nel suolo nazionale, quello temperato pone delle condizioni. Sono cittadini italiani per nascita i figli nati nel territorio della Repubblica di genitori stranieri se almeno uno di loro ha un permesso di soggiorno Ue di lungo periodo e risulta residente legalmente in Italia da almeno 5 anni. Secondo lo ius culturae invece possono ottenere la cittadinanza anche i minori stranieri nati in Italia, o entrati entro il 12° anno, che abbiano «frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli in istituti scolastici del sistema nazionale, o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali». La frequenza del corso di istruzione primaria deve essere coronata dalla promozione. I ragazzi arrivati in Italia tra i 12 e i 18 anni, poi, potrebbero avere la cittadinanza dopo aver risieduto legalmente in Italia per almeno sei anni e aver frequentato «un ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo».
Approvate alla Camera, le nuove norme furono insabbiate al Senato. Il Pd non ebbe il coraggio di mettere la fiducia sul provvedimento, impopolare come dicono i sondaggi. Ma una democrazia che si affida al consenso estemporaneo denuncia una fragilità preoccupante: serve anche il coraggio di andare contro vento. In Italia sono oltre 800 mila gli studenti che con lo ius soli avrebbero la cittadinanza italiana, 17.349 nella Bergamasca. Accedere al nuovo status in età minorile o adolescenziale, significa maturare questa nuova appartenenza come parte della propria identità. Questi giovani di fatto sono già italiani: parlano la nostra lingua, qualcuno addirittura con inflessioni dialettali, frequentano gli oratori e le società sportive e in molti casi non hanno mai visto il Paese d’origine dei genitori.
La maggioranza vive una crisi, trovandosi sospeso tra un’appartenenza nazionale, culturale e sociale che conoscono poco (quella dei genitori) e la dimensione dove risiedono, che però li considera stranieri. Una sorta di condizione da apolide, pericolosa perché vuota e come tutti i vuoti può generare una crisi d’identità. Ci vorrebbe il coraggio di andare contro corrente e dare una risposta civile a queste migliaia di ragazzi.
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