L’Italia non torni
agli antichi vizi

Secondo un diffuso cliché, l’Italia è un Paese normalmente poco efficiente e piuttosto disorganizzato che però sa dare il meglio di sé nelle condizioni più difficili. Non so se questa raffigurazione sia storicamente comprovata, ma sembra proprio quanto è accaduto in occasione della pandemia, almeno dal punto di vista economico. Le parole del governatore Visco al convegno Assiom Forex di ieri lo confermano: la nostra economia ha reagito molto bene alla crisi sanitaria e ora deve tornare ad affrontare il problema strutturale della bassa crescita in presenza di un alto debito e, sullo sfondo, dell’inflazione che si affaccia. Riuscirà a farlo con lo stesso successo con cui ha risposto alla pandemia? Più che una mera previsione o un auspicio è un imperativo. Il Governatore ha certificato che la produzione industriale è già tornata ai livelli ante pandemia, il Pil lo farà a metà anno e l’occupazione a fine 2022.

La crescita ha raggiunto il 6,5% l’anno scorso e quest’anno è prevista al 4%, già con una revisione al ribasso rispetto alle stime dei mesi scorsi. Cesseranno i sostegni pubblici generalizzati alle famiglie e alle imprese, che saranno prolungati solo per i settori più colpiti come per esempio il turismo e la ristorazione. Mantenere misure straordinarie anche dopo il ritorno alla normalità sarebbe sbagliato perché inciderebbe troppo sulle casse dello Stato e potrebbe fornire ulteriore alimento all’aumento dei prezzi. Proprio l’inflazione è la minaccia principale sullo scenario di medio termine. Sappiamo che è stata scatenata dall’impennata del costo delle energie fossili, soprattutto il gas naturale, e dalle strozzature delle catene produttive. Due condizioni destinate a riassorbirsi o almeno a diminuire di intensità. Di qui l’attesa per un aumento dei prezzi che quest’anno potrà essere contenuto entro il 3% e che dovrebbe rientrare al 2% a partire dal 2023: esattamente il livello target della politica monetaria della Bce. Ma già una volta ci si è dovuti ricredere sulla natura temporanea e fugace dell’aumento dei prezzi. Sarà bene essere molto cauti su questo punto, perché quando le attese di inflazione si radicano, si scatena la pericolosa rincorsa fra prezzi e salari.

L’Italia dovrà affrontare questo difficile contesto con il fardello del suo enorme debito pubblico. Visco ci dice che, grazie alla crescita del 2021, in rapporto al Pil è sceso al 150%, ma è pur sempre 20 punti percentuali superiore al livello ante pandemia. Se in questi ultimi anni il suo finanziamento non è stato particolarmente difficile lo dobbiamo alla Bce e alla sua generosa politica di acquisti di titoli pubblici. I tassi di interessi sono rimasti bassissimi, addirittura negativi sulle scadenze brevi e medie. Durante la crisi sanitaria ai programmi di acquisto di titoli già lanciati per contrastare le spinte deflazioniste, si è aggiunto il Pepp, sigla un po’ buffa con cui era denominato il piano per fronteggiare la pandemia. Ma adesso la musica cambia: chiuso questo intervento temporaneo, il Pepp, la Banca centrale deve affrontare un contesto del tutto diverso, dove il nemico non è più la deflazione, cioè il rischio di calo dei prezzi e di conseguente ristagno dell’economia, ma appunto l’inflazione, il sistematico e generalizzato aumento dei prezzi che erode la capacità di acquisto dei consumatori, scoraggia gli investimenti, porta all’aumento del costo del denaro.

In questo nuovo scenario la Bce aumenterà i tassi di interesse, anche se lo farà in modo graduale e contenuto almeno per tutto il 2022. Visco assicura che nel medio periodo questo non creerà tensioni nel soddisfacimento del nostro fabbisogno di liquidità (400 miliardi all’anno!), ma avverte anche che bisognerà tornare a politiche di bilancio non espansive per ritornare su livelli di indebitamento più sostenibili. E questo, aggiungo io, quale che sia il nuovo patto di stabilità europeo. Potremo godere di una discreta spinta dal Pnrr, se sapremo attuarlo a dovere e se porteremo a termine le riforme che esso prevede. Finito lo slancio di reazione alla crisi, occorre che l’Italia non ritorni ai suoi antichi vizi.

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