L’italia inclusiva
di Mattarella

Le immagini, le parole: risiede in questo corredo ambientale e concettuale la forza pedagogica del discorso di fine anno del presidente Mattarella. Un colloquio con il Paese reale dal Quirinale, la casa di tutti gli italiani, che rimarrà agli annali. In un’Italia che è quella che è, a tratti rancorosa e che non viene nascosta sotto il tappeto («rifiutare l’astio, l’insulto, l’intolleranza che creano ostilità e timore»), il capo dello Stato accetta la sfida di andare controcorrente in chiave umanistica, di esaltare l’«Italia che ricuce e che dà fiducia», quella della libertà positiva, dei buoni sentimenti, del pensare positivo. E che pure esiste, eccome. Mattarella lo fa appunto con le immagini e le parole: la carica emotivo-simbolica di un’Italia che vorremmo e che tuttavia è da sempre all’opera, lavorando con noi e per noi nelle pieghe del sociale.

Il bisogno di unità, di riconoscersi come una comunità di vita. Ancor prima della bacchettata al governo su come ha gestito la volata finale delle legge di Bilancio, colpisce la riaffermazione del senso di appartenenza alla comunità, il condividerne valori, prospettive, diritti e doveri. In un discorso completamente nuovo, anche rispetto ai suoi predecessori, e pure innovativo come scenografia, piccoli grandi frammenti di storia comunitaria compongono un’idea di futuro perché il racconto restituisce il diritto di cittadinanza agli esclusi. Ecco così, alla sinistra del presidente, il quadro dei ragazzi del Centro di cura per l’autismo di Verona, collocato in quel preciso posto informale per stabilire una relazione affettuosa, un dialogo, per ribadire la civiltà giuridica, l’orizzonte del Paese. Ecco così l’omaggio alla signora Anna, e chissà quante ce ne sono, la novantenne che, sentendosi sola nella notte di Natale, ha telefonato ai carabinieri. «Ho bisogno soltanto di compagnia», ha detto ai militari e loro le sono stati accanto.

Ci sono tanti modi per ridisegnare il profilo dell’uomo comune: il presidente ha scelto quello più coerente con un progetto di società inclusiva. Non sono, questi, richiami a margine, ma rinviano piuttosto alla miglior Italia repubblicana, quella che ha realizzato la storia costituzionale del Paese, parte integrante di quel personalismo comunitario rilanciato con vigore dal cattolico-democratico Mattarella in questo difficile tornante storico. Si capisce così perché il saluto di fine anno abbia avuto una eco senza precedenti: 10 milioni e 525 mila ascoltatori sui canali tradizionali contro i 9 milioni e 700 mila del 2017, uno share del 40%. Il più ascoltato e twittato dei quattro precedenti discorsi. C’è sì la conferma del riconoscimento di cui gode la presidenza della Repubblica (una delle poche istituzioni che ancora regge l’urto anti establishment), il consenso personale al garbato inquilino del Quirinale. Ma forse in controluce si può leggere anche altro: l’identificazione del Paese maggioritario – quello che lavora e soffre, quello che rispetta le regole e che si rimbocca le maniche per gli altri – con la più alta magistratura, la prospettiva concreta che dal Colle c’è un signore che ci tutela e che indica la via per tutti. Quei cittadini che si ritrovano nelle parole di Mattarella su uno dei temi più sensibili e controversi del nostro tempo: «La vera sicurezza si realizza, con efficacia, preservando e garantendo i valori positivi della convivenza». Il nucleo essenziale del discorso, che a questo punto potremmo definire «alla Mattarella», è il ripristino del ruolo centrale assegnato al mondo della solidarietà, al calore umano del volontariato, del Terzo settore. La trama, in sostanza, dell’«Italia che ricuce e che dà fiducia», di quei corpi intermedi che svolgono un’azione insostituibile nell’essere il cuscinetto fra i cittadini e le istituzioni. E che tuttavia, non da oggi, vengono bypassati (si chiama «disintermediazione») nonostante suppliscano alle lacune e alle carenze dello Stato e ora persino puniti con le «tasse sulla bontà». La prevalenza dell’Italia positiva deve ritrovare il posto che le spetta, così come va garantita la piena dialettica fra maggioranza e opposizione.

Qui c’è il giudizio critico, che va al cuore di un certo degrado politico e istituzionale. Mattarella, infatti, spiega di aver promulgato la legge di Bilancio nei termini utili per evitare l’esercizio provvisorio, ma «la grande compressione dell’esame parlamentare e la mancanza di un opportuno confronto con i corpi sociali richiedono adesso un’attenta verifica dei contenuti del provvedimento». Una frase a difesa esplicita del sistema parlamentare offeso, che segna un passaggio chiaro nei rapporti con la maggioranza e nella ricomposizione degli obiettivi istituzionali. In definitiva, il presidente ha ricordato da un lato i fondamentali della liberaldemocrazia e dall’altro le coordinate del vivere civile. Se ci sono motivi per sperare in un’Italia migliore, ora sappiamo che ce ne sono di validi e siamo consapevoli da che parte ricominciare per ricostruire.

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