L’Italia fa i conti
con la sua storia

Quattro omicidi e svariate rapine. Poi, nel carcere di Udine, al tempo degli anni di piombo, l’incontro con i Pac, i Proletari armati per il comunismo, e l’adesione alla militanza del gruppo. Quindi la fuga dal carcere di Frosinone e il riparo a Parigi, poi in Messico e di nuovo nella capitale francese. Oltralpe dal febbraio 1985 vigeva la cosiddetta «dottrina Mitterrand» che garantiva diritto d’asilo politico a chi era perseguitato in patria, ma, nella sua versione originaria, escludendo dai benefici chi era stato protagonista o complice di fatti di sangue. Nell’applicazione poi quella dottrina subì una deriva e in Francia trovarono riparo anche terroristi. Su richiesta delle autorità italiane, Battisti venne arrestato nel 2004, ma liberato in seguito a una campagna sostenuta dagli intellettuali della «gauche» attratti dalla rivoluzione. Il criminale italiano aveva legato con quegli ambienti e nel frattempo si era fatto la fama di scrittore di «noir» di successo.

Quando la Corte d’appello francese darà il via libera alla richiesta di estradizione arrivata dall’Italia, Battisti risulterà introvabile, probabilmente già volato in Brasile, dove gli viene riconosciuto lo status di rifugiato politico. Nel 2010 l’allora presidente Luiz Inácio Lula da Silva, nell’ultimo giorno del suo mandato, rigetta l’ennesima richiesta di estradizione italiana e l’aderente ai Pc esce dal carcere, dove era finito in attesa dell’esito della richiesta. Ma nel frattempo il clima politico nel Paese carioca è cambiato e l’11 ottobre 2017 il presidente Michel Temer revoca l’asilo politico. Il 13 dicembre la magistratura brasiliana ordina l’arresto di Battisti per «pericolo di fuga» e l’1 gennaio scorso Temer concede l’estradizione. Ma il terrorista nel frattempo è introvabile, fuggito in Bolivia: oltre confine c’è un’auto ad attenderlo per portarlo nel nuovo rifugio, dove è stato possibile arrestarlo.

A questo risultato si è giunti grazie a sofisticati software di localizzazione, a un lavoro d’intelligence sul campo e alla costante collaborazione con le autorità boliviane, gli uomini dell’Antiterrorismo, della Criminalpol, dell’Interpol e della Digos di Milano, col contributo degli agenti dell’Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna): sono stati messi sotto controllo una quindicina tra personal computer, tablet e telefoni di familiari di Battisti, amici e persone del suo entourage, anche italiani. I nostri 007 ancora una volta hanno dato prova di efficienza, come già accaduto in altri teatri, tra cui il Medio Oriente, mettendo così fine, con l’approvazione della Bolivia, a una latitanza di 37 anni. In questo tempo Battisti, che si è sempre dichiarato innocente e non ha mai avuto parole di ravvedimento e di pietà per le persone uccise, ha goduto di coperture e di sostegno. Ancora oggi c’è chi lo tutela pubblicamente, come il sociologo Carlos Lungarzo, autore di un libro in difesa dell’ex membro dei Proletari armati per il comunismo, che aveva lanciato una campagna su Internet a favore della concessione dell’asilo politico in Brasile al terrorista italiano, chiedendo che si inviassero e-mail alle ambasciate boliviane per chiedere al presidente del Paese andino, Evo Morales, di proteggere «un uomo innocente. È fondamentale rendersi conto che se Battisti viene consegnato al Brasile per essere estradato in Italia, lo attende una morte orribile». Nessuna morte lo attende, nessuna vendetta: la giustizia, con l’esecuzione delle sentenze di ergastolo. All’estero vivono ancora una cinquantina di terroristi italiani «rossi» (anche ex Br che hanno partecipato al sequestro Moro) o «neri». Riuscire ad estradarli significa fare i conti con la nostra (peggior) storia, con il sangue innocente versato negli anni Settanta. Lo dobbiamo alle vittime e ai loro figli.

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