L’invasione tre anni fa, ma l’Ucraina è in piedi

MONDO. l’Ucraina è distrutta, sconfitta insieme ai suoi alleati: quindi non è nelle condizioni di proporre condizioni per la pace. È una tesi diffusa, fatta propria dalla dottrina Trump, da politici e da presunti esperti nei talk show, nei media e nei social.

Di più: la guerra poteva essere fermata tre anni fa con i negoziati in Turchia che sarebbero stati boicottati da Kiev su pressione dall’allora primo ministro britannico Boris Johnson. La tesi è sbagliata. All’alba del 24 febbraio 2022, Vladimir Putin annunciava in diretta tv l’avvio dell’«operazione militare speciale». Un discorso segnato da gravi falsità. Il neo zar disse fra le altre cose: «Un ulteriore allargamento della Nato ad Est è inaccettabile», «non è nei piani della Russia l’occupazione dell’Ucraina», «non imponiamo nulla a nessuno con la forza. La libertà è al centro della nostra politica», l’obiettivo è «difendere le persone vittime degli abusi e del genocidio commesso dal regime di Kiev».

Nei cinque oblast vige l’obbligo di prendere la cittadinanza russa per non perdere casa, lavoro, assistenza sanitaria, accesso ai conti bancari e sono documentati casi di privazione della patria potestà sui figli

Come ricorda Angela Merkel nella recente autobiografia, l’allargamento dell’Alleanza atlantica, fermo dal 2004, nel 2022 non aveva in agenda ingressi di altri Stati dell’Europa orientale, già respinti quelli di Ucraina e Georgia proprio per non irritare Mosca. Nel settembre 2022 il Cremlino si è annesso militarmente e illegalmente il 20% del territorio del Paese invaso, stessa sorte toccata alla Crimea nel 2014. Nei cinque oblast vige l’obbligo di prendere la cittadinanza russa per non perdere casa, lavoro, assistenza sanitaria, accesso ai conti bancari e sono documentati casi di privazione della patria potestà sui figli. Missione Onu per i diritti umani, Croce Rossa Internazionale e Amnesty International hanno accertato arresti arbitrari dei renitenti, torture e sparizioni.

Le Nazioni Unite non hanno certificato genocidi nel Donbas, dove la guerra scoppiò nel 2014 in seguito all’occupazione armata da parte di separatisti filorussi di sedi istituzionali, con il sostegno di militari russi penetrati dalla confinante Crimea (detti «omini verdi» perché privi di mostrine). Fra il 2014 e il 2021 nel Donbas hanno perso la vita 16mila persone, 3.600 i civili per il 40% non russofili. Sotto la presidenza di Volodymyr Zelensky, fra il 2019 e il 2021 le vittime civili sono state 78. L’allargamento della Nato a Est può essere considerato uno dei fattori che hanno irritato Putin, una minaccia percepita e potenziale ma mai attuata. Però è il 2014 l’anno decisivo: Mosca vuole che Kiev aderisca all’Unione doganale con la Russia e all’Organizzazione euro-asiatica guidata dal Cremlino. Il presidente ucraino Viktor Janukovyc, eletto nel 2010 con un programma che prevedeva invece l’adesione al Trattato di associazione all’Ue ,viene meno a questo impegno. Scoppia la «Rivolta della dignità» di Euromaidan che ha il consenso di almeno la metà della popolazione, Putin comprende di non avere più il controllo del vicino e avvia la prima invasione con l’annessione della Crimea e l’appoggio militare ai separatisti del Donbas.

Il trauma russo per la fine dell’Urss

L’Occidente ha compiuto un errore di valutazione: non ha compreso il trauma russo per la fine dell’Urss, per la sconfitta nella Guerra fredda con la caduta di Mosca nello status di potenza regionale, così definita dagli Usa. Uno status umiliante per chi ha una storia imperiale e che Putin ha voluto riscattare «per rimediare agli errori del 1991 e ripristinare l’unione del popolo trino russo, ucraino e bielorusso» come ha detto. L’obiettivo dell’invasione su larga scala è «ridisegnare l’ordine mondiale unipolare» che in realtà è bipolare da tempo (Stati Uniti-Cina), un messaggio alla Casa Bianca per ottenere lo status di potenza mondiale che Donald Trump ha riconosciuto riaprendo i canali di comunicazione: vedremo gli sviluppi sperando. Ma l’Ucraina non è sconfitta. Con la controffensiva del 2022 ha recuperato il 40% del proprio territorio, oggi ha la sovranità sull’80% e la Russia, pur detenendo l’inerzia del conflitto, non ha il pieno controllo del 20% annesso e da lì non riesce ad avanzare.

Gli eccidi di Bucha e Mariupol

Le distruzioni sono concentrate soprattutto nel Donbas che Putin voleva difendere. «Non imponiamo nulla a nessuno con la forza» disse: in tre anni secondo l’Onu sono stati uccisi 11mila civili ucraini, 70mila scomparsi, 28.382 feriti, 6,5 milioni profughi, 4 milioni sfollati, migliaia di minori trasferiti a forza in Russia. Tre anni fa mentre il Cremlino trattava con Kiev in Turchia, i suoi battaglioni compivano gli eccidi di Bucha e di Mariupol. Il negoziato fallì per diversi fattori, soprattutto per l’assenza di forti garanzie di sicurezza all’Ucraina e al suo popolo per scongiurare una terza invasione. Lo stesso nodo che si pone oggi nel percorso negoziale iniziato a Riad sul quale pesano come macigni le infamanti parole di Trump che attribuisce le responsabilità del conflitto agli aggrediti (un raro caso di invasione e annessione autoindotte), nel mirino quotidiano di missili e droni esplosivi e ha definito Zelensky «dittatore», non Putin, peraltro ricercato dalla Corte penale internazionale dell’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità. Sì, la guerra poteva finire tre anni fa. Di più: la guerra non doveva essere avviata. È la forma di violenza più profonda e vasta sui popoli, lascia ferite fisiche, psicologiche e materiali per decenni. Non ha mai ragioni.

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