L’integrazione alla tedesca un modello per l’Italia

Il commento. La Germania nella crisi dei migranti dei giorni scorsi non si è schierata contro il governo Meloni. Berlino ha rifiutato di delegittimare la posizione italiana come richiesto dai francesi. È stato un atto decisivo. Da quel momento a Parigi è toccato il cerino acceso. L’approdo della Ocean Viking a Tolone ha rotto il tabù: adesso le navi delle organizzazioni non governative (ong) sanno di poter andare anche in Francia.

In politica contano gli interessi nazionali anche se ammantati da intenti etici. Al governo «semaforo» del cancelliere Scholz va bene che in Sicilia non approdino altri migranti oltre ai 90mila già arrivati. Ed il motivo è semplice: la maggior parte di loro sbarcano in Italia per andare in Germania in modo illegale. A Berlino mantengono sempre braccia aperte alla migrazione ma ad una condizione: che gli ingressi siano controllati.

È di questi giorni la proposta del ministro degli Interni, la socialdemocratica Nancy Faeser di concedere la cittadinanza a chi si trova su territorio tedesco da almeno 5 anni. E addirittura di accorciarla a 3 anni per meriti particolari, per esempio scoperte scientifiche o impegni di carattere sociale per il bene pubblico. E per rendere più appetibile l’invito a godere del trattamento di favore, si estende la facoltà di accedere alla nazionalità tedesca anche ai genitori anziani. Il tutto senza rinunciare al proprio passaporto d’origine. L’assistenza sociale e ospedaliera tedesca è ambita e quindi è ragionevole pensare che dei 10 milioni di stranieri presenti attualmente in Germania molti si lasceranno tentare. L’obiettivo è l’integrazione e quindi la possibilità di entrare a far parte in modo organico dell’apparato produttivo tedesco. I numeri sono impietosi: a marzo 2022 i posti scoperti sul mercato del lavoro sono 560mila. Mancano soprattutto medici, infermieri, assistenti sociali, insegnanti, e poi a seguire tecnici delle energie rinnovabili, informatici, piloti, ingegneri, agronomi. Tutti mestieri che richiedono una qualificazione e quindi formazione professionale. Il che tradotto vuol dire una sola cosa: tempo.

Il governo italiano vuole mettere un freno perché non ha sufficienti posti di lavoro da offrire, quello tedesco perché vuole una selezione. Ed in effetti se si guarda ai numeri i Neet, i giovani che non studiano, non hanno un lavoro né studiano nella fascia di Eurostat dai 15 ai 29 anni, sono al 23, 1% in Italia contro il 9,2% della Germania. Se a questo aggiungiamo che la popolazione tedesca tra il 2015 e il 2020 è aumentata dello 0,43% e per lo più per effetto dell’immigrazione, è evidente che in futuro si pone un problema. Se non vi sono sufficienti nuove leve a rimpiazzare i posti di lavoro che si vanno a creare, ne va dell’efficienza del modello industriale oltre che della sostenibilità del sistema pensionistico.

Ed è questo sicuramente un fattore di condivisione fra due Paesi manufatturieri come Germania e Italia. Con una differenza: i numeri italiani non sono omogenei. Quando i dati vengono disaggregati si scopre che mentre il Nord e Centro Italia sono in linea con la media europea, al Sud esplodono. Così se in Veneto la media Neet viaggia intorno al 14% in Sicilia raggiunge vette che rasentano il 40%.

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