L’incoerenza trionfa ma il giudizio guarda altro

Italia. Non sono poche le novità che questo inizio legislatura ci ha riservato. All’inizio, il sorprendente successo elettorale del partito erede della tradizione neofascista, maledetta e discriminata per più di un cinquantennio. Poi, l’incarico di formare il governo, per la prima volta nella storia d’Italia, ad una donna.

Dopo la sorpresa dei numeri e degli incarichi, è venuta la volta dei contenuti. Qui stiamo assistendo al ribaltamento di quello che è stata una norma di condotta in auge fino a ieri, parimenti reclamata dagli elettori e promessa dagli eletti: la coerenza tra le promesse della vigilia e i comportamenti del dopo voto.

Tutto cambiato, anzi tutto contraddetto. Nessuna coerenza tra il dire e il fare. Regna l’incoerenza che da vizio è diventata una virtù. Guida la schiera dei fedifraghi politici la premier Meloni. Fa la gnorri sul suo passato di simpatie per lo zar russo. Lascia perdere le sue promesse di generosi deficit di bilancio. Fa la smemorata in fatto di sovranismo e si fa paladina dell’Europa. Ha smesso i panni dell’anti-Draghi e ne sposa la strategia di indipendenza energetica competitiva, scommettendo sul price cap.

Agitava lo spettro del blocco navale e ha aperto i porti agli immigrati clandestini. Aveva promesso che le accise sarebbero state abbassate, ma alla prima occasione è stata costretta ad alzarle. Tra poco verrà il turno del Mes, il Fondo salva-Stati, un meccanismo da lei demonizzato per la minaccia che rappresenta alla sovranità di uno Stato e che ora si trova costretta ad approvare.

Incoerente la maggioranza, incoerente pure la minoranza. Campione di trasformismo è certamente il leader degli ex Cinquestelle, Giuseppe Conte. Non contento di essere incoerente sul programma (addio a decreti sicurezza e alla flat tax per le partite Iva), lo è diventato anche sugli schieramenti. Rifuggita l’alleanza stretta con la destra (la Lega di Salvini), è corso all’abbraccio con la sinistra, candidandosi addirittura a leader dei progressisti.

L’incoerenza non fa scuola solo presso i neofiti della sinistra, ma anche nelle roccaforti della sinistra storica. Il Pd si era intestato l’agenda Draghi e ora rinfaccia alla Meloni di essersi riconosciuta nei principi della stessa agenda. Reclamava, d’intesa con Verdi e Sinistra, la riduzione progressiva dei combustibili fossili (benzina e gasolio) in quanto «ambientalmente dannosi». Passato all’opposizione, si schiera contro la riduzione delle accise sui carburanti, per eccellenza combustibili fossili, anche a costo di andare contro le indicazioni di Fondo monetario internazionale e Bce.

L’incoerenza trionfa e, quel che meraviglia ancor più, è che sembra incontri l’approvazione anche degli elettori. Meloni e Conte, i campioni dell’incoerenza, sono i più premiati nei sondaggi.

Così almeno pare. Ma forse è tutto frutto di una distorsione ottica. Forse politici ed elettori fanno solo finta di credere nella coerenza. Sanno invece benissimo che quelle fatte in campagna elettorale sono solo promesse da marinaio. Sanno in partenza che non saranno mantenute. Alla fine, i cittadini guardano al sodo. Premiano leadership capaci di agire con autorevolezza e determinazione per il conseguimento di un risultato utile, quanto meno al loro elettorato, auspicabilmente all’intero Paese. Se Meloni, Conte e magari il prossimo segretario dem, alla prossima verifica elettorale saranno premiati, non dipenderà dalla coerenza dimostrata, ma dalla bontà della loro azione politica.

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